A Giornalisti e Comunicatori partecipanti al Giubileo della Comunicazione (25 gennaio 2025)
Care sorelle e cari fratelli, buongiorno!
Ringrazio tutti voi di essere venuti in tanti e da tanti Paesi diversi, da lontano e da vicino. È davvero bello vedervi tutti qui. Ringrazio gli ospiti che hanno parlato prima di me – Maria Ressa, Colum McCann e Mario Calabresi – e ringrazio il maestro Uto Ughi per il dono della musica, che è una via di comunicazione e di speranza.
Questo nostro incontro è il primo grande appuntamento dell’Anno Santo dedicato a un “mondo vitale”, il mondo della comunicazione. Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente.Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra. Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti [1]. Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue.
Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto. Sono tanti! [2] Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati. Sia aperta anche per loro una “porta” attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi. La loro libertà è libertà per ognuno di noi.
Chiedo – come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori – che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati. Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso. Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità.
Quella del giornalista è più che una professione. È una vocazione e una missione. Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate. Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà.
La vostra è una responsabilità peculiare. Il vostro è un compito prezioso. I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini. Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere – nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda – il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate.
Vorrei, in questo incontro speciale, approfondire il dialogo con voi. E sono grato di poterlo fare a partire dai pensieri e dalle domande che hanno condiviso poco fa due vostri colleghi.
Maria, tu hai parlato dell’importanza del coraggio per avviare il cambiamento che la storia ci chiede, il cambiamento necessario per superare la menzogna e l’odio. È vero, per avviare i cambiamenti ci vuole coraggio. La parola coraggio deriva dal latino cor, cor habeo, che vuol dire “avere cuore”. Si tratta di quella spinta interiore, di quella forza che nasce dal cuore che ci abilita ad affrontare le difficoltà e le sfide senza farci sopraffare dalla paura.
Con la parola coraggio possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio che porta la data di ieri: ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore. In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione. Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro “appello” che ci riguarda tutti: quello per la “liberazione” della forza interiore del cuore. Di ogni cuore! Raccogliere l’appello non spetta ad altri che a noi.
La libertà è il coraggio di scegliere. Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio. Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe. Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire. Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella “putrefazione cerebrale” causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno. Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani?
Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità. Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione. I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati.
Un cuore così è stato quello di San Paolo. La Chiesa celebra proprio oggi la sua conversione. Il cambiamento avvenuto in quest’uomo è stato così decisivo da segnare non solo la sua storia personale ma quella di tutta la Chiesa. E la metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro a tu per tu con Gesù risorto e vivo. La forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo è generata sempre dalla comunicazione diretta tra le persone. Pensate a quanta forza di cambiamento si nasconde potenzialmente nel vostro lavoro ogni volta che mettete in contatto realtà che – per ignoranza o per pregiudizio – si contrappongono! La conversione, in Paolo, è derivata dalla luce che lo avvolse e dalla spiegazione che poi gli diede Anania, a Damasco. Anche il vostro lavoro può e deve rendere questo servizio: trovare le parole giuste per quei raggi di luce che riescono a colpire il cuore e ci fanno vedere le cose diversamente.
E qui vorrei agganciarmi al tema del potere trasformativo della narrazione, del racconto e dell’ascolto delle storie, che ha evidenziato Colum. Torniamo ancora un attimo alla conversione di Paolo. L’evento è narrato negli Atti degli Apostoli per ben tre volte (9,1-19; 22,1-21; 26,2-23), ma il nucleo rimane sempre l’incontro personale di Saulo con Cristo; il modo di raccontare cambia, ma l’esperienza fondante e trasformativa rimane invariata.
Raccontare una storia corrisponde all’invito a fare un’esperienza. Quando i primi discepoli si erano avvicinati a Gesù chiedendogli «Maestro, dove dimori?» (Gv 1,38), Egli non rispose dando loro l’indirizzo di casa, ma disse: «Venite e vedrete» (v. 39).
Le storie rivelano il nostro essere parte di un tessuto vivo; l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri. [3] Non tutte le storie sono buone e tuttavia anche queste vanno raccontate. Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza.
In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita. Il vostro storytelling sia anche hopetelling. Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto. Seminate interrogativi. Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza. [4] Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri. Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere. Vuol dire far camminare le cose verso il loro destino.
È questo il potere delle storie. Ed è questo che vi incoraggio a fare: raccontare la speranza, condividerla. Questa è – come direbbe San Paolo – la vostra “buona battaglia”.
Grazie, cari amici! Benedico di cuore tutti voi e il vostro lavoro. E per favore, non dimenticatevi pregare per me.
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[1] Secondo il rapporto annuale della Federazione internazionale dei giornalisti sono più di 120.
[2] Secondo Reporter Senza Frontiere sono più di 500. In un comunicato stampa pubblicato a fine 2024, RSF sottolinea che “l’incarcerazione rimane uno dei mezzi preferiti da coloro che minano la libertà di stampa”.
[3] Cfr «Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2). La vita si fa storia, Messaggio per la 54ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2020.
[4] Cfr Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori. Messaggio per la 59ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2025.