Ai Membri della Fondation Leaders pour la Paix (4 settembre 2021)
Illustri Signore e Signori!
Sono lieto di rivolgermi a voi, onorevoli Leaders devoti alla pace provenienti da varie parti del mondo. Ringrazio il Signor Jean-Pierre Raffarin per le sue cortesi parole.
Il nostro incontro avviene in un momento storico particolarmente critico, lo sappiamo. La pandemia, purtroppo, non è stata ancora superata e le sue conseguenze economiche e sociali, specialmente per la vita dei più poveri, sono pesanti. Essa non solo ha impoverito la famiglia umana di tante vite, ognuna preziosa e irripetibile; ha anche seminato molta desolazione e aumentato le tensioni. Di fronte all’aggravarsi di molteplici crisi convergenti, politiche e ambientali – fame, clima, armamento nucleare, per citarne alcune – il vostro impegno per la pace non è mai stato tanto necessario e urgente.
La sfida è quella di aiutare i governanti e i cittadini ad affrontare le criticità come opportunità. Ad esempio: certe situazioni di crisi ambientale, purtroppo aggravate dalla pandemia, possono e dovrebbero provocare una più decisa assunzione di responsabilità, prima di tutto da parte dei dirigenti più alti, e quindi, a cascata, anche ai livelli intermedi e nell’intera cittadinanza. In realtà, vediamo come non di rado è “dal basso” che provengono sollecitazioni e proposte. Questo è molto buono, benché a volte tali iniziative vengano strumentalizzate per altri interessi da gruppi ideologizzati. Sempre c’è il pericolo della “ideologizzazione”. Anche in questa dinamica socio-politica voi potete giocare un ruolo costruttivo, principalmente favorendo una buona conoscenza dei problemi e delle loro cause profonde. Ciò fa parte di quella educazione alla pace che giustamente vi sta molto a cuore.
La pandemia, con il suo lungo strascico di isolamento e di “iper-tensione” sociale, inevitabilmente ha messo in crisi anche l’agire politico in sé stesso, la politica in quanto tale. Ma pure questo fatto può diventare un’opportunità, per promuovere una «migliore politica», senza la quale non è possibile «lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale» (Enc. Fratelli tutti, 154). Una politica – mi metto nella vostra prospettiva – che si attui come “architettura e artigianato della pace” (cfr ibid., 228-235). Per costruire la pace sono necessarie entrambe le cose: l’“architettura”, «nella quale intervengono le varie istituzioni della società» (ibid., 231), e l’“artigianato”, che deve coinvolgere tutti, anche quei settori che spesso sono esclusi o resi invisibili (cfr ibid.).
Si tratta dunque di lavorare contemporaneamente a due livelli: culturale e istituzionale. Al primo livello è importante promuovere una cultura dei volti, che ponga al centro la dignità della persona, il rispetto per la sua storia, specialmente se ferita ed emarginata. E anche una cultura dell’incontro, in cui ascoltiamo e accogliamo i nostri fratelli e sorelle, con «fiducia nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente» (ibid., 196). Al secondo livello – quello delle istituzioni – è urgente favorire il dialogo e la collaborazione multilaterale, perché gli accordi multilaterali garantiscono meglio di quelli bilaterali «la cura di un bene comune realmente universale e la tutela degli Stati più deboli» (ibid., 174). In ogni caso, «non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni» (ibid., 261).
Signore e Signori, vi ringrazio per la vostra visita e incoraggio il vostro impegno per la pace e per una società più giusta e fraterna. Dio vi conceda di sperimentare nella vostra vita quella gioia che Egli ha promesso ai costruttori di pace. Grazie.