Ai Partecipanti al Simposio Universitario “Service-Learning e Patto Educativo Globale” (9 novembre 2024)
Signor Cardinale, cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il vostro incontro è di particolare interesse per la Chiesa, che San Paolo VI chiamava «esperta in umanità» (Discorso all’ONU, 1). Un’espressione, questa, bella, esigente, che richiede sempre impegno perché si possa attuare nella nostra opera educativa.
A questo proposito, ricordo quel film L’attimo fuggente: lì si racconta l’arrivo in un rinomato collegio di un insegnante con un metodo molto originale. E questo professore di letteratura inizia la prima lezione con un “colpo di scena”: invita gli studenti a salire sui banchi e a guardare la classe da un altro punto di vista. L’episodio rivela che cosa dovrebbe essere l’educazione: non solo trasmissione di contenuti – questo è solo un aspetto – ma trasformazione della vita. Non solo ripetizione di formule – come i pappagalli – ma addestramento a vedere la complessità del mondo. Questo dev’essere l’educazione.
Nella pedagogia di Gesù, questo stile è molto chiaro: lo si ritrova in una delle sue forme d’insegnamento più ricorrenti, cioè le parabole. Raccontandole, il Signore non parla in modo astratto, che può essere compreso solo da un’élite, bensì in modo semplice, accessibile a tutti, e tutti capiscono, tutti. La parabola è un racconto che permette a chi ascolta di entrare nella narrazione, coinvolgendosi e confrontandosi con i personaggi. Gesù mira a far sì che l’ascoltatore non rimanga solo destinatario del messaggio, ma si metta in gioco in prima persona.
Rispetto a questo stile, la globalizzazione attuale comporta un rischio per l’istruzione, cioè l’appiattimento su determinati programmi spesso asserviti a interessi politici ed economici. Questa uniformità nasconde forme di condizionamento ideologico, che falsificano l’opera educativa, rendendola strumento per fini ben diversi dalla promozione della dignità umana e dalla ricerca della verità. L’ideologia “rimpicciolisce” sempre, non ti permette di svilupparti. Sempre rimpiccolisce. Per questo state attenti a difendervi dalle ideologie di turno.
Poiché «non possiamo cambiare il mondo se non cambiamo l’educazione» [1], occorre riflettere insieme sul modo di avviare e condurre questo cambiamento. La rete Uniservitate, del Centro Latinoamericano de Aprendizaje y Servizio Solidario, ha sviluppato il metodo pedagogico del service-learning, o “apprendimento nel servizio”, coltivando la responsabilità comunitaria degli studenti attraverso progetti sociali, che fanno parte integrante del loro percorso accademico. E in questo modo le istituzioni educative cattoliche fanno onore al loro titolo. Per una scuola o un’università, essere “cattolica” non aggiunge un semplice aggettivo onorifico al proprio nome, ma significa l’impegno a coltivare un caratteristico stile pedagogico e una didattica coerente con gli insegnamenti del Vangelo. Non è ideologia evangelica, no, è umanesimo, umanesimo secondo il Vangelo.
A tale riguardo, Uniservitate risponde con coerenza alle intenzioni del Patto Educativo Globale, coltivando itinerari formativi coinvolgenti per tutti. Ho ripetuto questo tante volte: un proverbio africano afferma che per educare un bambino serve un intero villaggio; costruiamo dunque un “villaggio dell’educazione”, dove condividere l’impegno a promuovere relazioni umane positive e culturalmente valide.
In questa prossimità può certamente maturare un’alleanza educativa tra tutti i soggetti che contribuiscono alla crescita della persona nelle sue espressioni scientifiche, politiche, artistiche, sportive e altre. L’istruzione, infatti, non è un’attività che finisce una volta usciti dalle aule scolastiche o da una biblioteca: l’istruzione continua nella vita, continua negli incontri e sulle strade che percorriamo ogni giorno. Ascoltare l’altro, riflettere sul dialogo: questa è la strada dell’istruzione.
L’alleanza che vi invito a coltivare dovrà essere generatrice di pace, giustizia e accoglienza tra tutti i popoli, espandendo i propri effetti salutari in collaborazioni sempre più intense. E questa alleanza potrà favorire il dialogo fra le religioni e la cura della nostra casa comune. Siamo consapevoli che il compito non è facile, ma è appassionante! Educare è un’avventura, è una grande avventura.
Di fronte a questa sfida, tutte le scuole cattoliche di ogni ordine e grado sono chiamate a operare con coraggio i necessari cambiamenti, orientando le proprie attività secondo l’insegnamento di Gesù, nostro comune Maestro. Per sostenere la coesione delle diverse iniziative, vi affido in particolare due principi tratti dall’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «la realtà è superiore all’idea» (nn. 231-233), sempre, e «il tutto è superiore alla parte» (nn. 234-237).
In primo luogo, i progetti pedagogici dovranno portare gli studenti a contatto con la realtà che li circonda, affinché, partendo dall’esperienza, imparino a trasformare il mondo non per proprio tornaconto, ma con spirito di servizio. Contatto con la realtà per non cadere nell’idea.
In secondo luogo, l’istruzione cattolica dovrà promuovere una “cultura della curiosità”. Avete ascoltato questo? Lo ha detto un grande saggio: cultura della curiosità, che non è lo stesso della cultura del chiacchiericcio, no, niente a che vedere l’una con l’altra. Cultura della curiosità valorizzando l’arte di fare domande. È quello che ci insegnano i bambini nell’età dei “perché”: “Papà, perché? Mamma, perché?”. Ricordo una volta un’esperienza mia, che mi ha toccato tanto. Mi avevano portato a fare l’intervento, non so come si chiama qui, da noi si dice alle amígdalas (tonsille). In quel tempo, non c’era l’anestesia per quello e si faceva in un modo molto pratico: l’infermiere ti prendeva con le mani, ti teneva in modo che tu non potevi muoverti, ti mettevano un apribocca, e con due forcipi, zac, e finita la storia. E lì dopo ti davano il gelato, un gelato per fare la coagulazione. All’uscita, papà chiama un taxi e torniamo a casa. Alla fine papà paga. Il giorno dopo, quando potevo parlare, gli dico: “Papà, perché hai pagato?”. “Perché…”, e mi ha spiegato cos’era il taxi. “Ma papà, tutte le macchine della città, non sono tue?”. “No!” E fu una grande delusione, perché papà non era padrone di tutte le macchine. Il “perché” dei bambini a volte nasce da una delusione, da una curiosità. Ascoltare le domande dei bambini, e imparare noi a farne. Questo ci aiuta tanto. E questa io chiamo cultura della curiosità. I bambini sono curiosi, nel senso buono della parola. L’arte di fare domande.
Sosteniamo i giovani in questa esplorazione di sé e del mondo, senza ridurre la conoscenza all’abilità della mente, anzi, completandola con la destrezza di mani operose e con la generosità di un cuore appassionato. L’educazione non è solo con la mente: si fa con la mente, con il cuore, e con le mani. Dobbiamo imparare a pensare quello che sentiamo e facciamo, a sentire quello che facciamo e pensiamo, a fare quello che sentiamo e pensiamo. Questa è l’educazione: il triplo linguaggio.
Ecco una buona strada per riuscire in un compito tanto urgente. Vedete, in un «mondo liquido – mi piace questa definizione – è necessario parlare di nuovo con il cuore» (Lett. enc. Dilexit nos, 9), perché «solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli» (ivi, 28). Oggi il nemico, forse il più grande, nel cammino di maturazione, sono le ideologie. Le ideologie non ci fanno crescere, ideologie di qualsiasi segno; sono nemiche della maturazione.
Vi ringrazio per il vostro lavoro. Il Signore tenga sempre viva in voi la passione educativa. Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.
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[1] Discorso ai partecipanti al IV Incontro di Scholas Occurrentes, 5 febbraio 2015.