Ai Partecipanti allIncontro promosso dalla Congregazione delle Suore Canonichesse dello Spirito Santo in Sassia (5 dicembre 2024)

Eccellenza, care sorelle,
cari fratelli
,

Vi do il benvenuto in questa casa di Pietro. Saluto anche il direttore generale dell’ospedale “Santo Spirito in Sassia ” di Roma, e i membri della direzione generale, che oggi ci accompagnano.

La Regola del beato Guido inizia nel nome della Santa e “Individua” Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, per proporre a tutti i fratelli — e le sorelle — presenti e futuri dell’Ordine, un progetto di vita entusiasmante. E qual è questo progetto? “dedicarsi principalmente alla cura e al servizio dei poveri”.

È un progetto che è in linea con la riforma che Innocenzo iii promosse nella vita religiosa e che più tardi cristallizzerà nei nuovi Ordini mendicanti. Un interesse del Pontefice che lo Spirito Santo seppe guidare all’ascolto di diversi santi, come il beato Guido e san Giovanni de Matha, con i quali s’incontrò all’inizio del suo pontificato, essendo propulsori di quel progetto.

È interessante vedere come il piano di Dio macera nella cucina del cuore — cosa che le monache, le sorelle sanno bene — e le note di sapore e di colore impregnano gradualmente le regole di vita, per poi diffondere il loro profumo a tutta la Chiesa. E tra queste note permettetemi di evidenziarne tre: comunione, sine proprio e servizio.

Nella vostra regola il voto di povertà è espresso in una forma particolare: vivere senza niente di proprio. Questa espressione non significa semplicemente una vita rigorosamente sobria e distaccata, come si definisce oggi il voto, bensì comprendere che siamo ospiti nella Casa di Dio, la Casa della Trinità che ci accoglie, condividendola con i poveri che siamo chiamati a servire. Di fatto, i primi religiosi, nel professare esplicitamente i tre consigli evangelici, parlavano della povertà come comunione, seguendo l’esempio della Chiesa primitiva in cui “tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (At 2, 44).

In tal modo, la vita fraterna va al di là del condividere spazi, compiti, servizi. La vita fraterna significa fare dono di noi stessi a Dio nel fratello, un dono senza riserve. Senza niente di proprio lasciato nella retrocamera delle sicurezze mondane, nascosto nella cella, nella tasca o, peggio ancora, nel cuore. Senza niente di proprio, lasciato nella retrocamera delle sicurezze mondane, o senza niente di proprio nascosto lì nella cella, o nella tasca o, peggio ancora, nel cuore, poiché solo a partire da questa libertà, senza niente di proprio, possiamo iniziare un progetto in cui procediamo insieme e di cui siamo segno escatologico, il viaggio verso dove il Signore ci invita, il viaggio al Cielo.

Che è un viaggio verso Dio, promosso dallo Spirito Santo che ci fa seguaci di Gesù. E quando parliamo di Gesù, non dimentichiamo che Lui “non è venuto per essere servito, ma per servire” È questo il nostro modello. La nostra santità sarà nella misura in cui saremo capaci di farci piccoli e servitori di tutti (cfr. Mt 23, 10-11).

Che Maria, figlia prediletta del Padre, madre di Dio Figlio e sposa dello Spirito Santo, vi sostenga in questo cammino per fare dei vostri cuori e delle vostre comunità templi della Trinità. Che Dio vi benedica, grazie.

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L’Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXIV n. 276, giovedì 5 dicembre 2024, p. 8.