Ai Rettori delle Università del Lazio (16 maggio 2022)
Illustri Signore e Signori,
do il mio benvenuto a voi, Rettori dei tredici Atenei pubblici, statali e non statali, di Roma e del Lazio, raccolti nel Coordinamento Regionale delle Università del Lazio con i rappresentanti della Regione. Saluto il presidente, professor Stefano Ubertini, Rettore dell’Università della Tuscia, e lo ringrazio delle cortesi parole di presentazione.
Alle Università, in questo particolare momento storico, è affidato un compito di grande responsabilità. Gli anni della pandemia, il diffondersi in Europa della “terza guerra mondiale” che è incominciata a pezzi e adesso sembra che non sarà a pezzi, la questione ambientale globale, la crescita delle diseguaglianze, ci sfidano in modo inedito e accelerato. Una sfida che ha una forte implicazione culturale, intellettuale e morale. Questo scenario sta davanti alle giovani generazioni, rischiando di generare un clima di scoramento, di smarrimento, di perdita di fiducia, peggio ancora: di assuefazione. Dobbiamo dirci la verità: siamo in crisi. E la crisi non è una cosa brutta, non è una cosa cattiva: la crisi è buona, perché la crisi ci fa crescere, ci fa fare opzioni per crescere. Il pericolo è quando la crisi si trasforma in conflitto: il conflitto è chiuso e distrugge. Ma dobbiamo imparare a vivere in crisi, come adesso, e a portare avanti i giovani che sono nelle nostre università, insegnando loro a vivere in crisi e a superare le crisi. Questa è una delle cose più belle che si possano fare: come vivere la crisi e superare la crisi, perché non si trasformi in conflitto.
Ma i giovani non ci stanno, e ci richiamano alle nostre responsabilità. Allora è proprio questo il momento di un grande investimento educativo. Per questo si sta sviluppando il Global Compact on Education, ovvero un progetto di lavoro comune su scala globale, che coinvolge tanti interlocutori, dalle grandi religioni alle istituzioni internazionali, alle singole istituzioni educative. Firmando in questo spirito il documento sulla fratellanza umana ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, abbiamo convenuto che «ci sta a cuore una formazione integrale che si riassume nel conoscere sé stessi, il proprio fratello, il creato e il Trascendente».
È questo, in concreto, l’orizzonte della pace: una formazione universitaria umana e universale, sul concreto. A volte, alcune università – penso ad alcune che ho conosciuto – portano avanti l’eredità universitaria dell’illuminismo, che è riempire di idee la testa, fare dei “macrocefali”, e questo non aiuta. Si deve educare col linguaggio della testa, del cuore e delle mani, e così si cresce nella società. Questo, in concreto, è l’orizzonte della pace che oggi giustamente reclamiamo e per cui preghiamo intensamente, e dunque dello sviluppo vero e integrale, che non si può costruire se non con il senso critico, la libertà, il sano confronto e il dialogo. E queste quattro cose non si possono fare senza libertà. Siamo qui alla base dell’idea stessa di Università e del ruolo che questa istituzione non può non avere, oltre le barriere e i confini.
In effetti, c’è molto da fare, per assicurare lo sviluppo tecnologico e scientifico, certamente, ma anche per garantirne la sostenibilità umana. I grandi cambiamenti chiedono di ripensare i nostri modelli economici, culturali e sociali, per recuperare il valore centrale della persona umana. [1] E «il termine stesso “università” designa una comunità, ma anche un’idea di convergenza di saperi, in una ricerca che fornisca verità e senso al dialogo tra tutti gli uomini e le donne del mondo». [2]
È dunque veramente importante il servizio che l’università può dare; che potete dare voi e gli Atenei che rappresentate, ciascuno con le proprie caratteristiche, per ripensare e adeguare i nostri modelli di sviluppo, facendo convergere le migliori energie intellettuali e morali. Gli studenti non si accontentano della mediocrità – la sfruttano, ma non si accontentano –; non si accontentano di una mera riproposizione di dati, nemmeno di una formazione professionale senza orizzonte. Lo dimostra, ad esempio, la grande mobilitazione di tanti giovani dottorandi e ricercatori sull’economia, coordinati da docenti di vostre Università, proprio con l’obiettivo di costruire risposte nuove ed efficaci, superando vecchie incrostazioni legate a una sterile cultura della competizione di potere.
Non vi manchi mai lo sforzo di ascoltare, le studentesse e gli studenti, i colleghi e le colleghe – quest’atmosfera di dialogo, non manchi questo –; ascoltare la realtà sociale e istituzionale, quella vicina e quella globale, perché l’università non ha frontiere: il sapere, la ricerca, il dialogo, il confronto non possono che superare ogni barriera ed essere “a tutto campo”. [3] Per favore, non vi manchi pure il coraggio dell’immaginazione e dell’investimento, per uno sviluppo umano della ricerca, per formare giovani capaci di portare qualcosa di nuovo nel mondo del lavoro e nella società; formarli anche al rispetto: rispetto di sé stessi, rispetto del prossimo, rispetto del creato e rispetto nei confronti del Creatore.
E nel promuovere l’eccellenza degli studi e della ricerca, vi esorto a vigilare perché tutti coloro che lo meritano e non ne hanno i mezzi possano esercitare in pieno il loro diritto allo studio e alla formazione. E così pure a portare avanti il lodevole impegno di accogliere studenti, ricercatori e docenti vittime di persecuzioni, guerre, discriminazioni in diversi Paesi del mondo. Possiate stimolare in molti le forme di “apprendimento-servizio” alla comunità, affinché, misurandosi con le povertà e le periferie esistenziali e sociali, diano ulteriore senso e valore alla loro formazione universitaria, mai disgiunta dalla vita, mai disgiunta dalle persone, mai disgiunta dalla società.
Ritorniamo così all’intenzionalità propria dell’istituzione universitaria, nell’impegno convergente della didattica, della ricerca, del dialogo e del confronto con la società. Auspico che le vostre siano comunità vive, comunità trasparenti, attive, accoglienti, responsabili, in un clima fruttuoso di cooperazione, di scambio e di dialogo, valorizzando tutti e ciascuno. Che possiate leggere e affrontare questo cambiamento di epoca con riflessione e discernimento, senza pregiudizi ideologici, senza paure o fughe, o, peggio, conformismi. E su questo mi raccomando di stare attenti alle ideologie. Le ideologie distruggono perché ci fanno vedere una sola strada e chiudono il panorama universale. Le ideologie distruggono l’umanità di una persona, le tolgono il cuore, le tolgono la capacità poetica, la creatività. Oggi ce ne sono tante: bisogna stare attenti a non cadere in questi atteggiamenti ideologici che distruggono, fanno tanto male. Anche nella Chiesa ne abbiamo, tante ideologie, a volte, che non fanno bene.
Mancano pochi anni al Giubileo del 2025. Ricordiamo che proprio tre anni dopo la prima celebrazione giubilare del 1300 fu istituito lo Studium Urbis, quasi a mostrare in pratica e ribadire il rapporto nativo tra la Chiesa e l’istituzione universitaria, una delle più antiche e paradigmatiche espressioni della civiltà europea, di qui poi sviluppatasi nel mondo. Questo antico e consolidato rapporto, nella distinzione e nella cooperazione, siamo chiamati a sviluppare e traguardare nella costruzione responsabile e sostenibile dei percorsi di sviluppo.
Il motto del prossimo Giubileo del 2025, Pellegrini di speranza, può allora esprimere questo impegno convergente, la tensione verso traguardi condivisi di vita, di bene e di fraternità. È il mio augurio e il mio ringraziamento al Comitato Regionale di Coordinamento delle Università del Lazio. Vi accompagno con la mia benedizione e la preghiera. E anche voi, non dimenticatevi di pregare per me. E se qualcuno di voi non prega perché non può, non sa o non se la sente, almeno mi mandi buone onde: ne ho bisogno! Grazie.
[1] Discorso all’Università Roma Tre, 17 febbraio 2017.
[2] Discorso a docenti e studenti della Libera Università Maria Santissima Assunta, 14 novembre 2019.
[3] Cfr Cost. Ap. Veritatis gaudium, Proemio.