Incontro con le Partecipanti al Capitolo Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice (22 ottobre 2021)
Le auguro, Madre, buon lavoro, insieme con il nuovo Consiglio. E ringraziamo la Superiora e le Consigliere uscenti. Mi auguro che la Madre tornerà in Africa… E se non c’è posto in Africa, in Patagonia!
In queste giornate di lavoro avete seguito il tema “Comunità generative di vita nel cuore della contemporaneità”, illuminandolo con le parole di Maria nelle nozze di Cana «Fate tutto quello che Egli vi dirà» (Gv 2,5). È il gesto più bello della Madonna: la Madonna mai prende per sé, mai, sempre indica Gesù. Pensate a questo: imitare la Madonna e fare lo stesso [fa il gesto di indicare]. Da una parte, dunque, tenere ben presente il contesto sociale multiculturale, segnato da tensioni e sfide a volte persino drammatiche, come quelle provocate dalla pandemia; nello stesso tempo, ascoltare la parola del Signore, la sua volontà, proprio dentro questo tempo così fragile e incerto, con le forme di povertà che la crisi attuale ha prodotto e moltiplicato. Voi sapete, è terribile questo. Le povertà sono moltiplicate, anche le povertà nascoste. Tante famiglie benestanti, o almeno nella classe media, non hanno il necessario per vivere. La pandemia ha fatto tante stragi.
Risvegliare la freschezza originaria della fecondità vocazionale dell’Istituto: questo è l’obiettivo che vi siete poste. È una prospettiva- chiave per rispondere alle esigenze del mondo di oggi, che ha bisogno di scoprire nella vita consacrata «l’annuncio di ciò che il Padre, attraverso il Figlio nello Spirito, compie con il suo amore, la sua bontà, la sua bellezza» (CIVCSVA, Per vino nuovo otri nuovi, 6). Questo non significa negare le fragilità e le fatiche presenti nelle comunità, ma credere che questa situazione può aiutarle a trasformare l’oggi in un kairós, un tempo favorevole per andare alle radici carismatiche, per lavorare sull’essenziale, riscoprendo, voi per prime, la bellezza della vita consacrata. Questa sfida vi invita a rinnovare il vostro “sì” a Dio in questo tempo, come donne e comunità che si lasciano interpellare dal Signore e dalla realtà. E così diventare profezia del Vangelo, testimonianza di Cristo e del suo stile di vita.
Il Vaticano II ha indicato alla Chiesa questa via, che è la via di Dio: l’incarnazione nella storia, l’immersione nella condizione umana. Ma ciò presuppone un saldo radicamento in Cristo, per non essere in balìa della mondanità nelle sue diverse forme e nei suoi travestimenti. Non dimenticatevi che il peggiore male che può accadere nella Chiesa è la mondanità spirituale. Posso dire quasi che sembra peggio di un peccato, perché la mondanità spirituale è quello spirito così sottile che occupa il posto dell’annuncio, che occupa il posto della fede, che occupa il posto dello Spirito Santo. Padre De Lubac, nel libro Méditation sur l’Eglise, nelle ultime pagine parla di questo. Andate a cercarle. Le quattro ultime pagine. Dice questo che è fortissimo: la mondanità spirituale è il peggior male che può accadere alla Chiesa, peggio dello scandalo ai tempi dei Papi concubinari. È forte. Il diavolo entra nelle case religiose per questa strada. A me aiuta per capire come entra il diavolo fra noi. E non è un peccato, non è una suora che uccide un’altra – uno scandalo! – o che insulta un’altra, no, questo è un peccato brutto, si scandalizzano tutti, chiedono perdono… No. Gesù ci insegna come il diavolo entra qui, e dice così: “Quando lo spirito immondo è stato cacciato via da una persona, se ne va, gira per deserti, si annoia, allora dice: ‘Tornerò alla mia casa per vedere come sta’. Una casa tutta pulita, tutta bella, tutta preparata. E va, trova sette peggiori di lui e entra in quella casa. Ma non entra forzando, no, entra educatamente: suona il campanello, dice buongiorno. Sono diavoli educati. Noi non ci accorgiamo che stanno entrando. Così entrano lentamente e noi: “Ah, che bello, che bello, vieni, vieni…”. E alla fine, la condizione di quell’uomo è peggiore che all’inizio. Così succede con la mondanità spirituale. Persone che hanno lasciato tutto, hanno rinunciato al matrimonio, hanno rinunciato ai figli, alla famiglia… e finiscono – scusate la parola – “zitellone”, cioè mondane, preoccupate per quelle cose… E l’orizzonte si chiude, perché dicono: “Questa neanche mi ha guardato, quella mi ha insultato, quella…”. I conflitti interni che chiudono. Per favore, fuggite dalla mondanità spirituale. E anche dallo status: “Io sono religioso, io sono religiosa…”. Esaminare questo. È il peggio che può accadere. È come un […] che lentamente ti toglie la forza. E invece di essere donne consacrate a Dio, diventano così “signorine educate”. […] dove c’è il servizio missionario, dove c’è il servizio, dove c’è la mortificazione, di tollerarsi di tollerarsi l’una l’altra. E San Giovanni Berchmans diceva: “La mia più grande penitenza è la vita comunitaria”. E ci vuole! Ci vuole tanta penitenza per tollerarsi l’una l’altra. […] Ma state attente alla mondanità spirituale. Non che per vivere ho bisogno di cambiare il telefonino, che ho bisogno di questo, di quell’altro, di prendere le vacanze sulla spiaggia… Sto parlando di cose vere. Ma la mondanità è quello spirito che ti porta a essere non in pace o con una pace non bella, una pace sofisticata.
Per voi consacrate questo richiede la fedeltà creativa al carisma, ed è per questo che tornate sempre al carisma. Il carisma è una reliquia? No, è una realtà viva, non una reliquia imbalsamata. È vita che crea e va avanti, non un pezzo di museo. Allora la grande responsabilità è collaborare con la creatività dello Spirito Santo, per rivisitare il carisma e far sì che esprima la sua vitalità nell’oggi. Da questo deriva la vera “giovinezza”, perché lo Spirito fa nuove tutte le cose. E noi troviamo religiose e religiosi anziani che sembrano più giovani – come il buon vino –, che la forza dello Spirito aiuta a trovare nuove espressioni del medesimo dono che è il carisma. Un carisma che è uguale per tutte, ma diverso per tutte. È lo stesso, ma con delle nuances della propria persona; e ciò vuol dire che quella persona è piena di quel carisma, è creativa anche nel carisma. Non va fuori dal carisma, no. È lo stesso carisma. È la creatività che dà la fedeltà al carisma. Questa è la via della Chiesa che ci hanno mostrato i Santi Papi del Concilio e del dopo-Concilio: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I – prossimo Beato – e Giovanni Paolo II, di cui celebriamo oggi la memoria.
Un altro aspetto che vedo nel tema del Capitolo è l’esigenza di far crescere comunità intessute di relazioni intergenerazionali, interculturali, relazioni fraterne, relazioni cordiali. Voi potete attingere per questo dal vostro spirito di famiglia, che ha caratterizzato la prima comunità, a Mornese, e che vi aiuta a cogliere nella diversità un’occasione per esercitare l’accoglienza e l’ascolto, valorizzando le differenze come ricchezza. In questa prospettiva vi incoraggio anche a portare avanti l’impegno di lavorare in rapporto con altre congregazioni, cercando di vivere relazioni di reciprocità e corresponsabilità. Ma questo si può fare bene se dentro la tua congregazione hai un bel rapporto così, non fuggire nelle altre congregazioni perché non sei capace di tollerare la tua. Questo per voi è un modo concreto di vivere la sinodalità; e, anche qui, il presupposto è la docilità allo Spirito Santo, l’apertura alle sue novità e soprese.
Su questo vorrei soffermarmi: sull’intergenerazionalità. Io ricordo una volta una congregazione religiosa – non voi – in Argentina, che aveva avuto dei problemi, tanti anni fa, quarant’anni fa più o meno. La Madre generale era una suora brava ad organizzare, e disse: “No no: qui ci vuole gioventù”, perché a quel tempo c’erano tante vocazioni. Le anziane erano tutte in una casa per anziani e le giovani a parte. Ma questo è un peccato, un peccato contro la famiglia! Gli anziani devono vivere, nel limite del possibile, nella comunità viva. E un dovere dei giovani è custodire gli anziani, imparare da loro, dialogare con i vecchi. Se in una congregazione non c’è questo scambio, è la via che porta alla morte. [Mostra un’immagine che è stata distribuita, raffigurante un monaco giovane che porta sulle spalle un monaco anziano] Questa che ho portato… Questo monaco giovane che porta un vecchio. Questo è il “mestiere” del giovane. Essere capaci di avere le nonne, i nonni a casa. Io ricordo che in quella congregazione, di cui parlavo prima, le anziane morivano di crepacuore. “È morta… Sta male…”. Il crepacuore veniva dalla tristezza di non poter godere le nuove generazioni. Fate un esame di coscienza: come accolgo io gli anziani? È vero che i vecchi a volte diventano un po’ capricciosi – siamo così – e i difetti nella vecchiaia si vedono meglio; ma è anche vero che i vecchi hanno quella saggezza, quella grande saggezza della vita: la saggezza della fedeltà di diventare vecchi nella vocazione. E grazie per tutto quello che farete. Mai isolare gli anziani! Sì, ci saranno case per gli anziani che non possono fare una vita normale, sono a letto… Ma andare lì continuamente, visitare gli anziani, visitarli… Sono il tesoro della storia! Mi aiuta tanto quell’esperienza di Santa Teresina di Gesù Bambino, quando accompagnava una vecchia suora che appena poteva camminare. Ma era una suora un pochettino nevrotica, a volte succede. E la Teresina faceva di tutto… E la Teresina mai spegneva il sorriso. La portava e poi la faceva sedere, e poi le tagliava il pane. La povera vecchietta, che era un po’ nevrotica, si lamentava di tutto, ma la guardava con amore. E succede una volta, nel passaggio dal coro al refettorio, si sentiva dall’esterno un chiasso, si sentiva la musica di un ballo, c’era una festa lì vicino. E Teresina disse: “Io mai cambierò questo per quello”. Aveva capito la grandezza della vocazione. Il rispetto agli anziani. Per favore, portare gli anziani!
La stessa apertura allo Spirito vi permette di perseverare nell’impegno di essere comunità generative nel servizio ai giovani e ai più poveri. Comunità missionarie, in uscita, protese ad annunciare il Vangelo alle periferie, con la passione delle prime Figlie di Maria Ausiliatrice. Ma quella passione è impressionante, quella dei primi salesiani! Ma era vero, stupiva giovani e ragazze. In un libro che vi ho portato – ne lascerò uno alla Madre generale –, un libro che parla di un sacerdote salesiano lodigiano che è stato missionario in Argentina, Don Enrico Pozzoli, nell’introduzione del libro – è interessante – fa vedere la quantità di salesiani che don Bosco inviò in Argentina. Tanti! E quando sono arrivati a Buenos Aires – questo è il bello dei primi salesiani – non sono andati nei quartieri di classe media, no, sono andati a cercare le frontiere… Che cosa attira la vocazione? La santità, lo zelo. Cercate, vedete questa missionarietà… A proposito dei giovani voglio incoraggiarvi, perché non è facile accompagnare i ragazzi e le ragazze adolescenti. Lo sanno bene i genitori, e lo sapete pure voi. Anche per questo ho voluto il Sinodo per i giovani e con i giovani, da cui è uscita l’Esortazione Christus vivit. So che la utilizzate; vi incoraggio a continuare a farlo: sono certo che lì potete trovare diversi spunti in sintonia con il vostro carisma e il vostro servizio educativo.
Care sorelle, so che vi state preparando a celebrare i 150 anni di fondazione dell’Istituto. Anche questa è un’opportunità di rinnovamento e di rivitalizzazione vocazionale e missionaria. Non dimenticate la grazia delle origini, l’umiltà e la piccolezza degli inizi che resero trasparente l’azione di Dio nella vita e nel messaggio di quante, colme di stupore, iniziarono questo cammino. Maria Ausiliatrice vi aiuterà: siete sue figlie! Le sue parole alle nozze di Cana sono state e sono un faro di luce per il vostro discernimento: «Fate quello che Lui vi dirà». Maria è la donna attenta, pienamente incarnata nel presente e sollecita, una donna premurosa. Così voi, possiate essere in ascolto attento della realtà, cogliere le situazioni di bisogno, quando manca il “vino” cioè la gioia dell’amore, e portare Cristo, non a parole ma nel servizio, nella vicinanza, con compassione e tenerezza. Mi fermo su questo. Per me una cosa bruttissima è una religiosa arrabbiata, una religiosa che sembra fare colazione non con il latte ma con l’aceto. Siate madri. Tenerezza. Lo stile di Dio è sempre la vicinanza. Lo disse all’inizio, nel Deuteronomio: “Pensate: quale popolo ha i suoi dèi così vicini come voi avete me?”. Vicinanza. E la vicinanza di Dio è sempre compassionevole e tenera. La vicinanza è compassione e tenerezza. Tutti i giorni, nell’esame di coscienza, domandarselo: “Oggi, sono stato vicino? Sono stata compassionevole? Sono stata tenera?”. Andate avanti con questo. La parola tenerezza usatela tanto. È importante per il modo di essere. Portate la speranza che non delude. Quella vera. Essere come Maria donne di speranza. Voi lo fate a partire dall’identità salesiana, con lo stile salesiano: specialmente l’ascolto, la presenza attiva, l’amore per i giovani. La creatività del momento, come diceva don Bosco.
Quel «c’era la Madre di Gesù» (Gv 2,1) del Vangelo delle nozze di Cana, nelle vostre Costituzioni diventa «Maria è attivamente presente nella nostra vita e nella storia dell’Istituto» (cfr Cost. FMA, 44). Accompagnate da lei, andate avanti con entusiasmo nel cammino che lo Spirito vi suggerisce. Col cuore aperto ad accogliere le spinte della grazia di Dio, con lo sguardo attento a riconoscere i bisogni e le urgenze di un mondo in continuo cambiamento. Guardare il cambiamento, ma con il cuore sempre innamorato del Signore. Cuore di madre, cuore vicino, con compassione e tenerezza.
E grazie di questo incontro! Grazie di ciò che siete e di ciò che fate. Vi sono vicino con la preghiera e benedico voi e tutte le vostre sorelle nel mondo. E vi chiedo di pregare per me: non è facile fare il Papa!