Sabato 29 Marzo : Ludolfo di Saxe

Il fariseo del Vangelo si vantava e si giustificava con orgoglio. Accusava gli altri e si considerava migliore di loro (…). Eccoli i segni dell’orgoglio che Dio riconosce da lontano (cf. Sal 138,6), ma non perdona. Lungi dall’accusarsi, quest’uomo loda se stesso. Invece di pregare Dio, si burla di colui che lo glorifica. E quando gli rende grazie, non pensa ai doni di Dio, ma ai suoi meriti.

“Il pubblicano invece resta a distanza”, con l’umile sentimento che non è degno di avvicinarsi, “e non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo” per modestia, poiché ha coscienza della sua indegnità di peccatore, il peccato gli impedisce di guardare al cielo. Il dolore del pentimento fa sì che “si batte il petto” dove trova l’origine di ogni male e dice accusandosi umilmente: “Tu che puoi tutto, “Mio Dio, abbi pietà di me che sono peccatore” (lc 18,13). Questa accusa di sé, questa confessione chiara e semplice porta al peccatore il perdono delle sue colpe. Ecco i segni dell’umiltà sulla quale Dio volge lo sguardo e che riconosce. (…)

Quale il frutto di questo comportamento? Dio perdona al pubblicano ciò di cui si accusava, e costui se ne andò giustificato. (…) E’ diventato giusto a buon diritto, poiché il fariseo presumeva la sua giustizia, mentre il pubblicano la possedeva realmente. Quello era giustificato ai suoi occhi dalle sue opere; questi lo era da Dio per la sua fede. Quello si gloriava orgogliosamente dei suoi beni; questi riconosce umilmente il suo male. Meglio l’umile peccatore che il giusto orgoglioso, perché dal momento che il peccatore si umilia, non è più peccatore; e dal momento che il giusto s’inorgoglisce cessa di essere giusto. Non bisogna quindi gloriarsi delle proprie azioni, ma affidarsi umilmente alla grazia.