Solennità di Tutti i Santi
1 Novembre
Sante messe: 7,30 – 10,00
15,00 – Celebrazione della Parola in Cimitero
(non si celebra la messa delle ore 18,00)
21,00 – Adorazione con il ricordo dei defunti in chiesa
2 Novembre
10,00 – S. Messa in Cimitero per tutti i defunti
18,00 – S. Messa in chiesa per tutti i defunti
Venerdì 1 novembre, alle ore 10 in chiesa: mandato per Catechiste e Accompagnatori dei Genitori
Venerdì 1 novembre, alle ore 15 in cimitero: Celebrazione della Parola e ricordo dei defunti
Venerdì 1 novembre, alle ore 21 in chiesa: Adorazione Eucaristia, con speciale ricordo dei defunti
Sabato 2 novembre, alle ore 10 in cimitero: S.Messa per tutti i defunti
Domenica 3, alle ore 15 in cimitero: recita del S.Rosario (per tutte le domeniche di novembre)
Festeggiare tutti i santi è guardare coloro che già posseggono l’eredità della gloria eterna. Quelli che hanno voluto vivere della loro grazia di figli adottivi, che hanno lasciato che la misericordia del Padre vivificasse ogni istante della loro vita, ogni fibra del loro cuore. I santi contemplano il volto di Dio e gioiscono appieno di questa visione. Sono i fratelli maggiori che la Chiesa ci propone come modelli perché, peccatori come ognuno di noi, tutti hanno accettato di lasciarsi incontrare da Gesù, attraverso i loro desideri, le loro debolezze, le loro sofferenze, e anche le loro tristezze.
Questa beatitudine che dà loro il condividere in questo momento la vita stessa della Santa Trinità è un frutto di sovrabbondanza che il sangue di Cristo ha loro acquistato. Nonostante le notti, attraverso le purificazioni costanti che l’amore esige per essere vero amore, e a volte al di là di ogni speranza umana, tutti hanno voluto lasciarsi bruciare dall’amore e scomparire affinché Gesù fosse progressivamente tutto in loro. E’ Maria, la Regina di tutti i Santi, che li ha instancabilmente riportati a questa via di povertà, è al suo seguito che essi hanno imparato a ricevere tutto come un dono gratuito del Figlio; è con lei che essi vivono attualmente, nascosti nel segreto del Padre.
Martirologio Romano: Solennità di tutti i Santi uniti con Cristo nella gloria: oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni.
«Oggi, o Padre, ci dai la gioia di contemplare la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre» canta la Santa Chiesa nel Prefazio della Messa di questa luminosa solennità, “Pasqua dell’autunno”, nella quale «in un unico giubilo di festa – dice il Martirologio Romano – la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo».
La Chiesa non contempla se stessa. Può capitare che lo facciano singoli credenti, o anche intere comunità, ma la Chiesa, Sposa di Cristo, è il suo Sposo che contempla!
Mentre si rallegra di tanta parte di sé già nella gloria eterna, è Lui che la Chiesa contempla e, se vede se stessa, vede ciò che veramente essa è: opera del Salvatore; redenta dal Sangue dell’Agnello; consapevole che il bene che è in lei, e di cui ringrazia e gioisce, viene dalla Grazia di Dio ed il male presente, di cui soffre ed invita all’umile pentimento, è frutto della fragilità degli uomini.
La Chiesa guarda con gioia gli innumerevoli suoi figli che hanno raggiunto la meta, ma sa che essi, come ha detto san Giovanni (Ap.7,2-4.9-14), «sono quelli che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» e sostenuti dalla Grazia hanno testimoniato la fede: alcuni come martiri in persecuzioni cruente, poiché coraggiosamente hanno assunto come criterio di valutazione la Parola del Signore, non l’opinione propria o di altri; alcuni come discepoli di Cristo nel cammino quotidiano della vita: alcuni “grandi”, che hanno impegnato doti elevate in opere straordinarie, altri “piccoli” che hanno vissuto senza grandi imprese; una schiera di uomini e donne che «hanno cercano il volto di Dio», (cfr. Sal. 23) rivelatosi nel volto di Gesù che proclama «beati», felici – (Mt 5,1-12) – «i poveri in spirito», coloro che sono «nel pianto», i «miti», «quelli che hanno fame e sete della giustizia», i «misericordiosi», i «puri di cuore», gli «operatori di pace», i «perseguitati per la giustizia» e per «causa Sua»; uomini e donne, giovani e adulti, che hanno conosciuto il peccato e i limiti della creatura umana, ma hanno lottato in un cammino di conversione a Cristo dentro le situazioni e le circostanze del viaggio terreno ed hanno fatto esperienza della misericordia di Dio, della pace che Dio dona e di cui quel martellante “Beati ” nel discorso della Montagna rivela le condizioni.
Incamminati anche noi verso «la città del cielo», destino, meta del nostro vivere sulla terra, la contempliamo, ripetendo una stupenda preghiera con la gioia e la fiducia con cui la compose Giovanni da Fécamp, nipote di san Guglielmo di Volpiano che fondò l’abbazia di S. Benigno Canavese e morì anch’egli nel monastero di Fécamp in Normandia; la facciamo nostra, consapevoli che il cammino di fede consiste nel dare a Dio, ma prima ancora nell’accogliere da Lui i Suoi doni, poiché è il Suo amore accolto ed assaporato che ci mette in movimento, e la santità che ci è proposta è consegnarci al Suo Amore, come fu per i discepoli chiamati a Sé da Gesù e che «si avvicinarono a lui», come abbiamo ascoltato nel Vangelo.
«O Casa luminosa e bellissima, io ho sempre amato il tuo splendore, il luogo dove abita la gloria del mio Signore, Colui che ti ha costruita e ti possiede. Sospiri a te il mio cammino quaggiù: io grido a Colui che ti ha fatta perché dentro le tue mura Egli possiede anche me. Io sono andato errando come una pecora smarrita, ma sulle spalle del mio Pastore, che è il tuo architetto, io spero di essere ricondotto a te.
Gerusalemme, città eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia. Dopo l’amore per Cristo sii tu la mia gioia ed il dolce ricordo del tuo nome beato mi sollevi da ogni triste zza e da tutto ciò che mi opprime».
La «casa luminosa e bellissima», meta del nostro pellegrinaggio sulla terra – ci fa comprendere il monaco Giovanni – è opera di Cristo che con la Sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ci ha aperto la strada per il cielo, Lui che ha detto: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo, e che con la Sua presenza misteriosa e reale ci sostiene nel cammino verso il traguardo.
Raggiungere questa meta è l’essenziale della vita, di questa vita che è bella non perché sia sempre piacevole, ma perché è iscritta in un Mistero d’Amore e destinata a costituire la Città eterna della quale, già ora, io sono pietra che il divino Architetto prepara lavorandola con lo scalpello del Suo amore misericordioso.
«Sospiri a te il mio cammino quaggiù» Gli diciamo con il monaco Giovanni. Questo sospiro è la voce più vera del nostro essere che manifesta l’insopprimibile desiderio di felicità posto da Dio nel cuore umano: un cuore che chiede l’Eternità, poiché è fatto così dal Creatore: per una totalità, per una pienezza: poiché per meno di tutto non vale la pena!
«Io grido a Colui che ti ha fatta, perché dentro le tue mura Egli possiede anche me ». E’ la preghiera che dalla Chiesa oggi sale al Signore con intensità speciale. La facciamo nostra perché sappiamo che anche noi «siamo andati errando come pecora smarrita», ma «sulle spalle del Pastore, speriamo di essere ricondotti a Lui» e ci «protendiamo» perciò «nella corsa per afferrarlo noi che già siamo stati afferrati da Cristo» (cfr. Fil.3,12).
I nostri Santi, tutti i fratelli e le sorelle che abbiamo nella Gerusalemme del cielo, come amici e modelli di vita ci accompagnano nel viaggio. Noi li guardiamo commossi e con il monaco Giovanni diciamo: «Gerusalemme, città eterna di Dio, non si scordi di te l’anima mia. Il dolce ricordo del tuo nome beato mi sollevi da ogni tristezza e da tutto ciò che mi opprime».
Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato CO
La comunione delle cose sante
Uno degli articoli del Credo è relativo alla Communio Sanctorum.
Che cos’è questa Communio Sanctorum? Intanto può avere una duplice traduzione e, ambedue queste traduzioni, sono legittime: la comunione delle cose sante e anche la comunione dei santi.
è certo che prima di tutto il Simbolo Apostolico intende la comunione delle cose sante. è uno dei privilegi, anzi il privilegio che dimostra l’unità; il privilegio proprio dei credenti e ne dimostra l’unità proprio per il fatto che essi possono comunicare ai medesimi beni, possono tutti dei medesimi beni partecipare. Le cose sante sono comuni e questa è già una grande cosa, una cosa meravigliosa.
La ricchezza, sul piano naturale ed umano, tende a divenire sempre un fatto privato, un fatto che esclude gli altri. Mentre i beni terreni, non so se per natura loro, sembrano essere proprio una delle occasioni maggiori di divisione fra gli uomini, le cose sacre invece, per se stesse, implicano la comunione e realizzano una comunione perché, quanto più il dono è eccelso sul piano soprannaturale tanto più realizza una comunione; tanto più, di fatto, è comune.
Altre volte mi sembra di avervi detto che i doni più grandi che Dio può fare non sono quelli singolari, fatti ad alcuni santi, le stigmate per esempio: i doni più grandi sono quelli che Dio fa a tutti e che poi non tutti realizzano nello stesso modo. Certo nessuna grazia che Dio abbia fatto all’anima è maggiore dell’Eucarestia.
I doni più grandi di Dio…
Tanto più un dono è grande, è eccelso, nell’ordine soprannaturale, tanto più è comune e tanto più realizza una comunione. Di fatto, la Redenzione stessa è per sé una grazia, un dono divino, che realizza l’unità: l’anima non è salva che in quanto essa entra in comunione con Dio, un’anima non è salva che in quanto quest’anima entra di nuovo in rapporto con gli uomini nella Chiesa, fa parte di una Chiesa. Il male, il peccato divide, il male e il peccato ci chiudono: il male e il peccato ci escludono anzi, più che chiuderci. Invece la grazia che, secondo lo Scoto [Giovanni Duns Scoto, francescano, filosofo, teologo e scolastico scozzese, 1266-1308, chiamato anche Doctor Subtilis; beatificato nel 1993] si identifica alla caritas – e secondo i teologi ha la caritas come suo frutto immediato – la grazia allora che è l’amore e all’amore conduce, importa e realizza la comunione, l’unità. Communio Sanctorum: la comunione delle cose sante e la comunione nelle cose sante.
Dobbiamo renderci conto – ecco quello che prima di tutto si impone a noi – che tutto quello che il Signore ci ha dato, Io ha dato per tutti, lo ha dato perché tutti fossero uno. La massima ricchezza non è una ricchezza che ci distingue e ci divide, è una ricchezza che ci unisce e ci identifica: la grazia è la ricchezza che realizza l’unità.
…sono per tutti…
I beni che Dio ha concesso alla Chiesa sono beni che Dio ha concesso in vista di ogni anima e per ogni anima: la Sacra Scrittura, i Sacramenti divini, il magistero ecclesiastico, tutto è a servizio di tutti, tutto è per tutti e per ciascuno. La Chiesa non potrebbe sottrarre nulla a nessun’anima di quello che essa ha ricevuto. Dobbiamo renderci conto che anche, non so, quei ministeri che naturalmente non possono essere di tutti, sono però per tutti anch’essi. Il Papa veramente è Papa per me, a mio servizio, per il mio bene. Non vi è, non dico una grazia particolare, ma nessuna grazia dalla quale io sia in qualche modo escluso.
Ed è precisamente per questo accesso di tutti al medesimo bene che tutti, di fatto, entriamo in comunione fra noi, viviamo una nostra unità, realizziamo una nostra unità. Al contrario anche qui di quello che avviene sul piano naturale ed umano. Perché? Perché quanto più uno è dotato, tanto più si distingue; tanto più uno è dotato quanto più uno si separa, quanto più emerge. è un fatto questo inevitabile. Perché? Perché i beni sono limitati: un bene limitato per sé, non potrebbe essere bene di tutti che cessando di essere un bene. E la spiegazione è assai semplice. Prendete un miliardo, dividetelo in quaranta milioni di persone e voi vedete quanto ne tocca a ciascuno. Se invece questo miliardo tocca a uno solo, questo è abbastanza ricco. Sono beni limitati e perciò nella misura in cui uno ne partecipa, o piuttosto, tanto più uno ne partecipa quanto più è solo a parteciparne. Tutto tende a distinguerti, a separarti, sul piano naturale.
Voi vedete che fuori dal Cristianesimo l’umiltà non esiste; può esistere la modestia, ma non esiste l’umiltà. Lo stoico, che pure per tanti altri motivi può sembrare di vivere la vita del cristiano sul piano morale, ha però un orgoglio che gli deriva dalla consapevolezza di quello che egli è nei confronti del popolo, della massa, nei confronti di un volgo che egli odia e col quale egli non spartisce nulla, col quale non si sente in nessun modo solidale o in comunione. Diogene [Diogene di Sinope, filosofo greco, fondatore della scuola cinica, 412 a.C. ca. – 323 a.C.] rifiuta di vivere una sua partecipazione anche con un uomo grande come Alessandro il Macedone; non vuol nulla da lui, è troppo ricco in se stesso per aver bisogno di Alessandro. Siccome un bene limitato è divisibile, naturalmente quanti più sono a parteciparne tanto più questa divisibilità lo rende nullo. Di qui un fatto, che anche quelli che non sono beni, se però sono propri soltanto di pochi, tendono di per sé a divenire un bene; uno si gloria anche di una sciocchezza qualunque, purché sia solo a possederla o la possegga con pochi.
…per realizzare una comunione universale
Al contrario i beni soprannaturali tanto più veramente sono beni quanto più di fatto sono comuni. Perché? Perché in fondo i beni soprannaturali si identificano a un Dio, a un Dio che è l’amore e Dio tanto più veramente è posseduto dagli uomini, dall’anima, quanto più questo Dio, che l’anima possiede, è posseduto da tutti.
Ecco dunque la condizione del cristiano che vive nella Chiesa: egli non si sente defraudato di cosa alcuna, non si sente di nulla privato, tutto quello che la Chiesa è, è suo. Non quello che la Chiesa possiede come cose singole, ma quello che la Chiesa possiede nella partecipazione di una grazia che è Dio stesso. Questa diviene il bene di ciascuna anima; ogni anima ne partecipa nella misura che ne vuole, non nella misura della capacità del bene a parteciparsi, ma della capacità dell’anima a possederlo. Ognuno cioè può partecipare di questi beni nella misura in cui vuole, non nella misura che dipende dal bene stesso: il bene non ha misura. Appunto perché è infinito, tutto può essere tuo; la misura sei tu che la poni.
Che cosa hai da invidiare? Più nulla. L’invidia davvero, sul piano soprannaturale, è non solo un peccato, ma un controsenso, un assurdo. Che cosa vuoi invidiare? La santità di san Francesco? Ma è tua. La santità di Nostro Signore? è tua anche questa. Tutto è tuo nella misura in cui lo vuoi. Non sarebbe un bene divino, questa santità, se non solo non fosse comunicabile, ma non ti fosse comunicata, perché nella misura che questa è un bene veramente divino è amore e l’amore è in quanto si dà.
Vedete dunque che cosa vuol dire la Communio Sanctorum?
Noi crediamo a questa Communio Sanctorum, a questa comunione delle cose sante onde tutto il Paradiso è nostro, onde tutti i beni di Dio divengono patrimonio comune. Patrimonio mio, sì, ma non in senso esclusivo, perché se lo faccio mio in senso esclusivo, proprio per questo fatto, mi escludo dalla Communio. Queste cose mie, queste cose di Dio, tanto più sono mie, tanto più sono di tutti; tanto più le faccio mie quanto più mi libero da ogni esclusività nel possesso, quanto più di fatto io non pretendo privilegi, sul piano della santità e della grazia. Il privilegio qui, è quello soltanto dell’amore, è quello soltanto cioè di un amore che tende di per sé a diffondersi anche da te verso tutti, e trova soltanto una barriera non più in te, ma negli altri che non si aprono ad accogliere il tuo dono d’amore.
I privilegi di Maria
Guardate, per esempio, i privilegi di Maria Santissima. Ci sono tanti privilegi di Maria: l’immacolato concepimento, l’Assunzione… Sono privilegi ma non è che ella possegga questi beni come un bene suo proprio. Proprio nella misura in cui Dio si concede a quest’anima, in un modo così straordinariamente divino, nella stessa misura l’anima di Maria si apre per donare quella grazia che riceve a tutte le anime. Ed ecco perché proprio il privilegio dell’immacolato concepimento di Maria è il fondamento di quella dignità che la fa rifugio di tutti i peccatori; proprio perché ella è stata perdonata da ogni peccato prima ancora di averlo commesso, proprio per questo in lei è stato perdonato anche ogni peccatore, ella è rifugio di tutti noi. Così l’Assunzione di Maria non è privilegio ma il tipo della nostra resurrezione stessa. Se noi celebriamo l’Assunzione di Maria, non la celebriamo come un fatto che non ci riguardi: proprio perché ella ha ottenuto questo supremo attestato di amore da parte di Dio, proprio per questo, anche ella lo dona, ella lo partecipa; ella ce lo promette, lo implora, e attraverso di lei, Dio lo realizza.
Non vi è privilegio, sul piano soprannaturale, che ci escluda, che tenda a separarci. Ogni privilegio che tendesse a separarci dagli altri sarebbe un “non amore”, sarebbe una negazione di Dio, una negazione della grazia. Se l’Assunzione, se l’immacolato concepimento di Maria la separassero da noi, non vorrei nemmeno saper più nulla di Maria Santissima, perché non riconoscerei più in lei Dio, perché non vedrei più in lei, vivente, l’amore infinito di Dio, che si comunica a tutti. Dunque i privilegi propri anche di Maria sono privilegi per modo di dire, privilegi che la fanno più capace di amare, più capace di donarsi, più capace di essere di tutti. Ed è infatti questo il privilegio supremo di Maria: quello di essere la Madre di ciascuno, mentre gli altri che si sono poco aperti all’amore, che non hanno accolto l’amore, proprio per questo medesimo motivo, sono meno comunicabili di lei, non sono come lei la Madre di tutti, non sono i fratelli universali, per dirlo in altre parole. Lo sono e non lo sono; non sono percepiti come tali, non vi sembra?
Tutto è di ciascuno
Communio Sanctorum: che meraviglia tutto questo!
Bisogna essere proprio piccini piccini, cioè non pretendere nulla per noi, escludere ogni proprietà perché è la proprietà che esclude l’amore, è la proprietà cioè che esclude questa ricchezza divina, questo bene che è Dio. Dio non può essere esclusivamente tuo: nella misura in cui tu lo fai tuo, Egli ti sfugge e non è; proprio nella misura che tu lo vorresti soltanto per te, proprio nella stessa misura, ti escludi al suo possesso.
Le cose sante sono comuni appunto per questo: sono tutte tue e tutte di tutti, e proprio perché essendo tue sono di tutti, proprio per questo anche quanto più Dio si comunica a te, tanto più in te si realizza l’unità con ogni creatura. Ecco Maria Santissima. Dio si è comunicato in modo sorprendente alla sua anima, ma ella non per questo si separa dagli altri, ma proprio per questo diviene invece la Madre di tutti. Proprio per questo diviene intima a ciascuno; proprio per questo ella vive in te più di quanto non viva in te la tua anima stessa.
Communio Sanctorum: che meravigliosa verità è mai questa!
E che gioia non ci dona il sentire che nulla ci è rifiutato, che da nulla siamo esclusi; che nessuna grazia, proprio perché è grazia, non ci è sottratta! E nella misura in cui tutto ci è donato, nella stessa misura, ecco, noi diveniamo aperti, senza più porte, senza più difese del nostro egoismo, liberati da tutto quello che ci divide e ci separa da Dio e dagli uomini, dagli angeli, dal mondo divino e dal mondo umano, da tutto.
Ognuno di noi, proprio per possedere Dio, bisogna che divenga immenso come Lui, per possedere Dio bisogna che si apra ad accogliere tutto come Dio stesso, bisogna che si faccia una sola cosa col tutto, nel Cristo.
Questa mi sembra che voglia dire prima di tutto la Communio Sanctorum.
La Comunione dei santi…
La nostra partecipazione alla redenzione del Cristo implica una partecipazione all’uomo della vita divina, di una grazia però che non è un bene esclusivo e non lo diviene mai, ma tanto più si partecipa quanto più anche diviene comune. Ora, proprio per questo motivo, la comunione delle cose sante diviene naturalmente e necessariamente la Comunione dei santi.
Se la grazia di Dio non si comunica all’uomo che aprendo l’uomo ad una universale comunione, ne viene precisamente che, quanto più l’uomo partecipa di questi doni divini, tanto più anche comunica con gli altri uomini, vive una comunione di amore con tutti quelli che partecipano ai medesimi beni. Per la carità di Dio l’uomo non si apre soltanto a Dio, non entra in comunione soltanto con la divinità, ma acquista una sua trasparenza onde l’anima può comunicare con tutte le altre anime, può vivere un rapporto di amore anche con tutti i fratelli.
Il peccato ci ha divisi, ci ha opposti gli uni agli altri e ci ha separati, ci ha reso opachi, impenetrabili all’amore; la grazia invece ci dona questa nuova trasparenza, ci dona questa nuova possibilità di comunione di amore. Ed è questo precisamente allora l’effetto della grazia divina: che cioè noi viviamo la vita di tutti e tutti vivono della nostra medesima vita; non c’è più nulla di proprio che non sia, anche qui, di tutti. Quanto più noi siamo ricchi e partecipiamo agli altri i nostri beni, tanto più dell’altrui bene noi viviamo. Un santo tanto più è santo quanto più è privo di ogni difesa nel suo amore, quanto meno è chiuso nella sua ricchezza.
…oltre lo spazio e il tempo
A questa comunione di amore non solo non è più di impedimento l’opacità del corpo, ma nemmeno la difficoltà di uno spazio che ci divide, di un tempo che ci può separare. Per la comunione dei santi, di fatto, un’anima può riassumere in sé la vita non solo di tutte le anime, ma di tutti i tempi: può veramente vivere un rapporto di amore con tutti coloro che questa medesima grazia hanno posseduto, posseggono o anche possederanno.
Il respiro dell’anima cristiana è veramente un respiro cattolico; il cristiano è per sua natura sinfonico. Che cosa noi dobbiamo agli altri? Che cosa gli altri debbono a noi? Noi potremmo dire: tutto, ogni cosa. Dio stesso non si comunica a noi che attraverso la mediazione dei nostri fratelli.
Tu non sei battezzato, tu non ricevi il perdono di Dio, tu non ricevi nemmeno il Corpo del Cristo, che attraverso la mediazione non solo della Chiesa, ma del sacerdozio. Tu non ricevi comunione di vita nella parola di Dio, che attraverso il magistero, l’insegnamento, non solo della Chiesa docente, ma di tutti quei fratelli che nella Chiesa sono maestri e discepoli. Uno anche se non insegna con la parola, insegna con l’esempio, insegna con la vita.
Il bene che noi ci comunichiamo a vicenda è uno solo: Dio, l’amore. Ma questo Dio, che è il bene unico e comune per tutti, è un bene che non si dona a ciascuno che attraverso la mediazione di tutti. Noi abbiamo bisogno dell’esperienza umana universale per vivere la nostra povera vita, per vivere la nostra piccola vita. Piccola, povera… No, perché in ognuno di noi vive tutto quanto l’universo, così che nell’universo io non mi perdo, così che nell’universo io non mi sommergo.
Questo di fatto, direi, è quello che distingue il cristiano.
L’alternativa al Cristianesimo
Noi pensiamo a due soluzioni al di fuori del Cristianesimo e ambedue sono soluzioni di morte, non di salvezza per l’uomo. Una soluzione è quella appunto dell’uomo che vivendo nel mondo, che vivendo nella storia, viene assorbito dal mondo, viene assorbito dalla storia, come parte di un tutto, ma precisamente, in quanto parte di un tutto, egli non vive. Che cos’è mai questa piccola parte che è l’uomo in una storia così vasta, in una storia così grande come la storia degli uomini? Che cos’è mai quest’uomo nella creazione? Una parte. Ma anche lo stesso nostro sistema stellare si perde nell’immensità degli spazi. Se tu sei parte non sei nulla. Giustamente però allora, al di fuori del Cristianesimo, l’uomo tenta di salvarsi separandosi dal tempo e dallo spazio, escludendosi dalla comunione con gli uomini, isolandosi in un isolamento feroce, cercando di difendere il proprio io, di contro a tutte le ragioni di un amore che tenta di sommergere questo piccolo lucignolo fumigante che è l’uomo. Ma anche in questo caso che cosa l’uomo vive? L’uomo vivrebbe nel suo isolamento se fosse Dio, cioè se avesse in sé la ragione della propria esistenza, cioè, se per vivere, l’uomo non avesse bisogno di alimentarsi continuamente. Ma l’uomo, come tutte le cose quaggiù, non ha una ragione del proprio esistere: come non ha ragione del suo essere, così non ha ragione in sé della sua esistenza. Per essere, ha bisogno di un atto creatore, per sussistere ha bisogno continuamente di essere alimentato nella sua vita. Una stufa ha bisogno che ogni giorno noi ci gettiamo il sacchetto di carbone. L’uomo, sul piano anche fisico, per sussistere ha bisogno ogni giorno di mangiare. E voi pensate che per la nostra vita spirituale noi possiamo essere sufficienti a noi stessi? No certamente. Nel suo isolamento dunque, l’uomo mentre cerca di difendere se stesso di fronte a una sommersione, di fronte a un suo annientamento nella vastità delle cose, nel suo isolamento egli non vive che la sua morte, non fa che destinarsi alla morte.
Il Cristianesimo di fatto ci libera da una soluzione come dall’altra: tu non sei parte del tutto e tu non vivi isolato. Tu sei il tutto, perché il tutto vive in te. Tu sei il tutto perché tutta quanta l’umanità in te rivive, di tutta quanta l’umanità tu ti alimenti; tutta quanta la storia deve avere una sua eco nel tuo medesimo cuore. E tutto questo avviene precisamente in forza di questo amore divino, di questa grazia di Dio, di questa comunione delle cose sante che è Dio stesso poi, in ultima analisi, onde tu, ecco, accogli l’amore e lo doni.
In Dio accolgo tutto e tutti
Comunione dei santi. L’uomo non è parte dunque di un tutto e non è l’uno che si isola: se si isola dagli uomini si isola da Dio. Accogliendo Dio in sé, l’uomo diviene penetrabile da tutti e l’uomo accoglie anche tutti perché non accoglie Dio che attraverso la mediazione degli uomini. Per accogliere Dio, bisogna che accolga tutta quanta l’umanità; e d’altra parte non si isola, ma accoglie Dio per comunicarsi a sua volta a tutta quanta l’umanità.
Ecco la Comunione dei santi, mistero estremamente gioioso, estremamente glorioso per l’uomo. Tu vivi una comunione d’amore con ogni fratello, tu hai bisogno di ogni fratello per vivere Dio, e ogni fratello ha bisogno di te. Tu devi sentirti debitore di tutti, tu devi sentirti bisognoso di tutti. Vivere, per l’uomo, vuol dire sempre più aprirsi ad accogliere il dono divino, il dono di un Dio che giustamente non si comunica a te attraverso una singola cosa, ma attraverso tutte, perché di tutte Egli ha bisogno, di tutte in qualche modo ha voluto avere bisogno per donarsi al tuo cuore.
A tua volta, tu non possiedi ora Dio, tu non possiedi questa vita divina, che in quanto la comunichi a tutti. Sicché, l’essere tu bisognoso di tutti, il sentirti tu nella necessità, per vivere, di ricevere, di accogliere in te il dono di una vita che da ogni avvenimento, da ogni creatura ti viene comunicata, non ti dispensa dal comunicarti. Anzi: nella misura in cui accogli, nella misura in cui hai bisogno, nella stessa misura sei debitore. Tanto tu accogli quanto tu doni, e quello che accogli è l’immenso, Dio, e quello che tu doni è l’immenso, Dio stesso.
Dio è colui che ci unisce, Dio è colui che attraverso di noi si comunica, Dio è colui che tu ricevi e tu doni. La nostra comunione è in Dio, ed è Dio stesso che la fa.
Vivere la comunione…
Communio Sanctorum – comunione dei santi – mistero, dicevo, glorioso, ma come viverlo? Come dovremmo parlare un linguaggio più semplice! Come dovremmo sentirci impegnati a vivere questo mistero in una maniera veramente reale, concreta! Che debbo dirvi? Questo bisogno voi lo sentite? Vorrei che lo sentiste.
…nella lectio divina…
La lectio divina, uno dei mezzi più necessari alla vita cristiana, che cos’è se non precisamente un accogliere Dio se non attraverso una nuova esperienza? Guarda che Dio si comunica a te prima di tutto, dicevo, attraverso un’esperienza che giustamente è stata in qualche modo consegnata alla parola.
Dio si è comunicato prima all’uomo attraverso le cose. Una lectio divina è anche aprire gli occhi a vedere la creazione, e vedere la creazione come libro di Dio: “e;Coeli enarrant gloriam Dei”e; (Sal 18, 2). Dunque i cieli parlano, i cieli sono una scrittura divina, è una scrittura divina anche la creazione, che tu devi interpretare, che tu devi accogliere. Le cose stesse ti parlano di Dio: tu devi accogliere il loro messaggio. Dunque la lectio divina è la contemplazione della natura, ma una lectio divina è anche, e soprattutto, una lettura e una meditazione dei Libri Sacri. Attenti qui: nei Libri Sacri, Dio non ti parla attraverso la natura, ti parla attraverso il linguaggio di un uomo. I Libri Sacri sono la letteratura di un popolo: la letteratura ebraica praticamente si identifica alla Bibbia.
L’esperienza dunque di una storia umana, la storia di un popolo, l’esperienza di un popolo nella sua vita civile, politica e culturale: questa è la parola di Dio. Dio e l’uomo sono insieme confusi, più che confusi sono insieme uniti, e tu non accogli Dio che attraverso questo accogliere l’uomo. Per vivere tu la parola divina, devi accogliere Israele nel tuo cuore.
“e;Siamo tutti dei semiti, spiritualmente”e;, diceva Pio XI. Non lo siamo soltanto perché Israele ci ha dato la rivelazione, ma perché ci ha dato la rivelazione attraverso la sua stessa esperienza umana, la sua medesima storia. Tu comunichi con Dio se tu comunichi con tutto il popolo, tu vivi di Dio se fai tua l’esperienza di Mosè, di Isaia, di Geremia, di uomini che non sono lontani da te, che tu devi sentire padri tuoi e tuoi fratelli. “Tipo” della santità rimangono essi per te; Dio non si comunica a te se non attraverso di loro. Non è forse vero?
…e nell’esperienza dell’uomo
Vi ricordate quello che vi dicevo proprio domenica? Ogni letteratura nell’antichità è sempre stata considerata una letteratura sacra, ispirata in qualche modo da Dio. Ed è vero in qualche modo. Non certo ogni letteratura si può mettere sul piano della letteratura d’Israele, della Bibbia, e tuttavia l’uomo può comunicare se stesso senza comunicare Dio? Non è forse vero che Lucrezio [Tito Lucrezio Caro, poeta e filosofo latino, 98-55 a.C.] – per parlare di un poeta latino – ti può veramente condurre, darti un senso del sacro di fronte alla natura? Ed Eschilo [poeta tragico greco, ca. 525-456 a.C.] per i greci?
Classica e non classica, antica e moderna, l’esperienza dell’uomo non è mai un’esperienza di un uomo soltanto, è l’esperienza anche di un Dio, che l’uomo o crocifigge nel suo cuore o combatte furiosamente per sottrarsi al suo impero. Oppure di un Dio, invece, a cui l’uomo si apre, si abbandona per essere invaso da Lui, per essere da Lui posseduto.
Le molteplici Rivelazioni…
La comunione dei santi. Dio si comunica all’uomo attraverso la mediazione degli uomini, cosicché tu non potrai mai ricevere Dio se non aprendoti ad accogliere ogni uomo; e non soltanto l’uomo. Ma giustamente noi dobbiamo insistere soprattutto sugli uomini perché, mentre se tu accogli il messaggio divino attraverso gli avvenimenti e le cose, tu entri in comunione con Dio, ma non con gli uomini, è invece nell’accogliere Dio attraverso gli uomini che non soltanto accogli Dio, ma accogli gli uomini stessi. Allora tu vivi ora non più soltanto in comunione con Lui, ma in comunione anche con loro, che diventano tuoi fratelli.
…cosmica…
Si diceva: uno dei mezzi fondamentali per alimentare in noi la vita divina, è precisamente la lectio, la lettura sacra, la meditazione, per usare un linguaggio moderno, meditazione che deriva da una lettura. Ora la lettura che si fa per prima, è la lettura della creazione: la creazione stessa si apre davanti a te come un libro perché tu possa leggervi Dio, perché tu possa trovarvi la sua parola e tu possa comunicare con la sua volontà, col mistero della sua grandezza, col mistero della sua santità.
Ma giustamente, attraverso questa lettura, la tua comunione non potrà mai divenire una comunione personale con le cose: le cose divengono soltanto lo strumento perché tu entri in comunione con Dio. Tu anzi devi trascendere le cose medesime, nell’istante in cui tu raggiungi la divinità, nell’istante che ti apri ad accogliere Lui.
…profetica
Ma vi è un’altra lettura, una lettura che in senso più proprio viene detta lectio divina: la lettura dei Libri Sacri, che è normativa per ogni altra lettura.
Nei Libri Sacri è consegnata non soltanto la parola di Dio – questo si diceva poco fa – ma anche la parola dell’uomo, di tutto un popolo, di tutta la storia di un popolo. Praticamente la Bibbia si identifica a tutta la storia del popolo ebraico, fin tanto che il popolo ebraico rimane il popolo eletto, il popolo di Dio. Tu ora non accogli questo messaggio divino, la rivelazione di Dio, che accogliendo tutta questa storia; tu non vivi una comunione con Dio che vivendo una comunione con questo popolo, che facendoti tu in qualche modo un israelita spiritualmente, come diceva Pio XI. Non c’è possibilità per noi di accogliere Dio indipendentemente da questa storia, indipendentemente da questa parola, indipendentemente da questa esperienza, che è una esperienza umana: è l’esperienza di Geremia e di Isaia, di Mosè e di Abramo, è l’esperienza di questi uomini di Dio. Come essi hanno accolto Dio, così ora Dio si comunica a te attraverso la loro esperienza, nella loro stessa esperienza.
E si diceva ancora: certo che la Bibbia, la lettura biblica è normativa di ogni altra lettura, per un’anima religiosa, perché indubbiamente nessun’altra letteratura, di nessun altro popolo, comunica in un modo così pieno il valore divino, la volontà di Dio, come questa letteratura.
E pur tuttavia si soggiungeva: vi è forse un’esperienza dell’uomo che non implichi Dio? In ogni esperienza umana tu non ritrovi che Dio, magari in quanto l’uomo ha combattuto questo Dio che voleva forzare la porta per entrare nel suo cuore. Così giustamente non vi è lettura che non ci riporti a Dio, che non possa comunicarci Dio.
…per accogliere l’umanità intera
Tu hai bisogno di Dio, ma non lo puoi ricevere che accogliendo tutti gli uomini in te, che aprendoti ad ogni umana esperienza, che facendoti tu solidale con tutti. La comunione con Dio implica la comunione con tutta quanta la comunità umana. Non solo: non si potrà mai comunicare a te un’esperienza umana che nell’atto medesimo in cui si comunica a te Dio stesso, perché l’uomo è dall’uomo separato e diviso, finché la grazia non crei una possibilità di comunione e di amore. Questa grazia che ci comunica Dio è anche la grazia che di nuovo apre a noi la possibilità di una comunione con gli uomini.
Noi cristiani, proprio in forza della grazia che possediamo, siamo nelle condizioni migliori per accogliere tutti, per sentire tutti, per vibrare con tutti, per far nostra l’esperienza di tutti. Veramente la Chiesa ha ereditato le spoglie dell’Egitto, veramente il cristiano è l’erede di tutta la storia del mondo. Tutta la storia del mondo ha un’eco nel suo intimo cuore
I santi…
Certo che soprattutto tu vivrai in comunione con gli uomini in quanto questi uomini sono dei santi perché, se la comunione ti è possibile in forza della caritas, solo in forza di un Dio che è il possesso comune, ne viene che quanto più santo è colui che ti parla, tanto più tu attraverso di lui entri in comunione con Dio ed entri in comunione con colui che ti parla e vivi la sua stessa esperienza.
Ed è anche vero questo: che se tu hai bisogno di Dio, che se la tua vita interiore si alimenta di Dio, è chiaro anche che il bisogno di una comunione con gli uomini tanto più è vero e reale, quanto più questi uomini sono veramente dei santi, cioè veramente ti comunicano Dio, veramente ti danno Dio. Di qui, vedete, l’importanza che ha, nella vita cristiana l’agiografia, e anche i libri scritti dagli uomini che hanno avuto nella storia del Cristianesimo, ed anche nella storia del mondo, un’esperienza singolarissima di vita divina. Potresti tu fare a meno di sant’Agostino, di Origene, di santa Teresa, di san Giovanni della Croce, di santa Teresa del Bambino Gesù? No, non ne puoi fare a meno. Certo, anche di tutti gli altri tu senti il bisogno, anche di tutte le altre anime in qualche modo tu senti fame, ma soprattutto di queste perché in esse massimamente Dio è presente, e attraverso di loro massimamente si comunica a te.
…mediatori di Dio…
è difficile per noi esagerare il valore che ha avuto nella storia della santità cristiana l’agiografia, per esempio, e l’importanza che hanno avuto le vite dei santi. Pensiamo un poco quanti sono i santi che si sono fatti santi proprio per un primo contatto con altre anime, più che con Dio, con altre anime sante: per sant’Agostino, la vita di sant’Antonio; la vita di santa Maria Egiziaca per il Beato Colombini; la Legenda aurea per sant’Ignazio di Loyola. E tanti altri oltre loro. Così sempre nella Chiesa.
Si può noi pretendere di comunicare con Dio, di vivere un “solo a solo” con Lui? No, si diceva già prima, un “solo a solo” con Dio è veramente un assurdo per noi cristiani. La fuga del “solo a solo” di Plotino [filosofo greco, nato in Egitto, fondatore del neoplatonismo, 204 o 205-270], è veramente un assurdo per noi cristiani, nell’esperienza cristiana, perché Dio è l’amore e tu lo possiedi soltanto nella misura in cui ti apri a comunicarti agli altri, perché Dio non si dona a te che attraverso la mediazione degli uomini. E una volta che tu lo possiedi, se Egli è l’amore, Egli anche da te si comunica a tutti, anche Egli da te si deve donare a ciascuno.
…norma di vita
Si parlava dianzi della lectio divina, la lettura della Sacra Scrittura. Certo che, più della dottrina, non vi è un altro sacramentale più alto, più ricco di grazia, più efficace per la nostra vita interiore. Di fatto rimane anche vero che la nostra comunione, prima ancora di essere una comunione con gli altri uomini, anche cristiani badate, santi cristiani, è una comunione con Abramo, Mosè, Isaia, Geremia, Cristo, Pietro, Paolo, Giovanni, con gli uomini cioè, la cui vita, in qualche modo, è indivisibile dallo stesso messaggio della rivelazione divina. La rivelazione divina in tal modo viene congiunta, unita, all’esperienza umana di questi uomini, che per te sono divenuti norma di vita.
Tu puoi imitare o non imitare san Luigi, tu puoi imitare o non imitare santa Teresa, ma tu non potrai mai, se vuoi vivere una vita divina, non imitare Abramo. Tu non puoi non vedere in Abramo una norma che si impone al tuo spirito, tu non potrai non vedere in Pietro o in Giovanni o in Paolo, una norma di vita. E soprattutto nel Cristo, nel Cristo non in quanto si comunica a te attraverso il Sacramento eucaristico, ma in quanto si comunica a te attraverso la sua esperienza umana consegnata nella storia evangelica attraverso quella parola.
Anime sinfoniche…
Non sentite vivere in voi la vita di tutti questi uomini, non sentite che la vostra anima è veramente un’anima sinfonica?
Che cos’è vostro? Nulla, perché tutto quello che è vostro è di tutti. Che cosa voi dovete agli uomini? Voi stessi non lo sapete: tutto avete ricevuto da loro, perché tutto a voi viene attraverso di loro, e tutto voi dovete a loro perché tutta la vostra esperienza dovete anche comunicarla ai fratelli, perché gli altri si nutrano del vostro sangue, della vostra anima, della vostra stessa esperienza.
lo vi richiamo soprattutto, per vivere questa Communio Sanctorum, all’importanza che ha nella vostra vita spirituale la lettura della Sacra Scrittura; dopo di questa viene la lettura degli altri libri più o meno sacri, perché tutti sono sacri: libri di santi, siano essi vite o anche trattati di dottrina. Il pericolo per noi è che si trasformi la lettura in uno studio. Ora lo studio non è più la comunione con un’anima, è piuttosto una elucubrazione di idee, è un’impalcatura, una sistemazione di concetti.
…cioè vive
Voi dovete mantenervi anime vive e sentirvi in comunione con anime vive. La lettura si deve trasformare per voi in una comunione d’amore, una comunione di amore onde voi accogliete, attraverso l’uomo, Dio stesso, onde voi, accogliendo Dio, entrate anche in comunione con colui che ve lo comunica.
Non è mai senza commozione che io rileggo certe pagine di Newman [John Henry Newman, teologo, filosofo e cardinale inglese, 1801-1890; beatificato nel 2010], anche del suo testamento, in cui parla degli antichi Padri della Chiesa come di amici, come di persone che egli sente veramente vive nella sua vita, con le quali egli ha veramente un rapporto di amore. E in fondo è così: la nostra comunione con gli altri avviene nella nostra stessa comunione con Dio. Così questo si realizza: che ci sono più vicini i santi dei nostri stessi familiari, che viviamo una comunione più intima con san Francesco e santa Teresa di quella che viviamo con i colleghi della scuola o con i fratelli di sangue. Tu vivi la loro vita più di quanto tu non viva la vita dei tuoi fratelli. Così, la vita di santa Teresa del Bambino Gesù ti è più vicina, ti forma di più, di quanto non ti formi, di quanto non sia norma per te, di quanto non alimenti la tua vita intima, l’esperienza dei tuoi fratelli di sangue.
Dio fonte di comunione
Vediamo dunque come gli uomini comunicano fra loro: attraverso Dio stesso. Quanto più gli uomini comunicano Dio, tanto più comunicano anche se stessi. La nostra comunione con gli uomini si realizza in una nostra comunione con Dio, l’unità con gli uomini è Dio stesso, che è il bene e degli uni e degli altri, bene comune anzi di tutti. In Lui dunque la comunione si stabilisce, in Lui dunque la comunione si rafforza, in Lui la comunione si approfondisce e diviene grande, immensa, diviene intima, dolce. In Dio la comunione diviene veramente viva.
Come comprendiamo che l’uomo è immortale! Proprio per questa Communio Sanctorum, perché infatti, se io dovessi vivere soltanto una mia comunione con delle persone con le quali il bene con cui comunico non è Dio, questa comunione si esaurirebbe. Si esaurisce molte volte anche la comunione di un marito con la moglie, dopo molti anni di vita in comune; si sente al termine che non c’è più nulla da scambiare fra loro. Com’è triste tutto questo, ma come è vero! Vivendo con dei fratelli di sangue, pian piano ci si accorge che siamo sempre più lontani fra noi. Com’è triste ma com’è vero! Il bene comune che crea la comunione è Dio; è nella comunione dei santi che questo Dio è l’unità. Ma se Dio alimenta questa comunione, questa comunione è indefettibile, eterna. Ed ecco perché ci sono più vicini Agostino e Gregorio di quanto non ci siano vicine certe persone che ci passano accanto per la strada. Che cosa ho da spartire con costoro? Tanto e nulla o ben poco. La Communio Sanctorum può realizzarsi anche con loro, con quelli che mi passano accanto occasionalmente, e deve realizzarsi anche con loro, soprattutto in quanto sono debitore a loro di quel Dio che posseggo. Tuttavia, o per una mia povertà spirituale o per un loro egoismo onde essi si chiudono e non accolgono Dio, la comunione rimane estremamente fragile, il bene comune in cui possiamo trovarci uniti è tale che non basta a dare né una vita profonda a me e all’altro, né una vita eterna, né una vita che doni all’uno e all’altro l’immortalità. Come invece sentiamo che la comunione con i santi ci dona realmente la vita, come sentiamo che nella comunione di questi santi veramente la nostra vita si dilata, si arricchisce, acquista una forza, un vigore che il tempo non basta ad esaurire, a impoverire.
Accogliere i santi
Bisogna vivere questa comunione dei santi! Oggi troppo poco si parla dei santi: non va bene. Ho paura di questa dimenticanza perché il Cristianesimo se dimentica i santi dimentica la redenzione; si misura la grandezza della redenzione dal frutto, che sono i redenti, che sono i santi cristiani.
Vivere con loro, comunicare con loro, aprirci ad accogliere il loro dono di amore, perché soltanto nell’accogliere questo dono di amore, noi accogliamo Dio stesso, noi viviamo in Dio una medesima vita! Questo è il compito nostro, questo è il modo di vivere il mistero che noi crediamo quando diciamo: “e;Credo nella Comunione dei Santi”e;.
L’Eucarestia
è uno dei mezzi, quello della lettura, fra i più facili e i più necessari per vivere la Communio Sanctorum ma non il solo né il più grande. Se è vero quello che dicevo, che cioè Dio si comunica attraverso la mediazione degli uomini, sarà più perfetta la comunione coi santi, quando è più perfetta la comunione con Dio, quando Dio si dona nella misura più alta, più perfetta alla creatura. Allora anche avviene la comunione più perfetta, più intima, più vera coi santi.
Quando? La lectio divina ci riporta un mezzo di comunione con Dio che era proprio dell’antica rivelazione profetica più che della rivelazione cristiana. Indubbiamente i Libri Sacri rimangono anche per i cristiani; anzi, i cristiani non hanno come libri sacri soltanto i libri dell’Antico Testamento, ma anche i libri del Nuovo. Tuttavia nemmeno i libri del Nuovo Testamento sono il più alto dono che Dio ha fatto agli uomini nella rivelazione cristiana.
Il più alto dono che Dio ha fatto di Sé agli uomini, nella rivelazione cristiana, più ancora del Nuovo Testamento, sono i Sacramenti divini: l’Eucarestia in particolare. Ora, se nell’Eucarestia Dio si dona, si comunica nel modo più intimo e vero, nel modo più alto e immediato, se così si può dire, è giusto pensare che anche in quel mezzo, in quell’atto, la nostra comunione coi santi si realizzi nel modo più perfetto. Ed è proprio quello che pensavo nel recitare il Vespro insieme con voi. Oggi celebriamo la memoria di Sant’Andrea Avellino: chi lo conosce [al secolo Lancellotto Avellino, sacerdote nel 1545, entrò fra i Teatini nel 1556 col nome di Andrea; 1521-1608. Fu proclamato beato nel 1624 e santo nel 1712]? Eppure io parlavo a Dio di lui, invocavo la sua intercessione, era una comunione con lui. Non potevo vivere la lode divina che in quanto entravo in comunione con un santo.
La liturgia
Che cosa mirabile è mai la liturgia della Chiesa! Non fa presente soltanto il Mistero del Cristo: fa presente il Mistero di un Dio che si comunica al mondo, nel fare presente anche tutta la Chiesa trionfante, i morti del purgatorio, i cristiani che vivono quaggiù, perché la liturgia della Chiesa non è mai preghiera privata, è una preghiera in cui tutta la Chiesa in qualche modo è coinvolta, è presente, è viva, ma soprattutto fa presente la Chiesa trionfante.
Ma pensate un poco! San Tommaso d’Aquino: mica studio le sue opere! Egli pensa a me. La grandezza di questi uomini non li allontana affatto dal più umile cristiano perché anche il più umile cristiano non soltanto celebra la festa di san Tommaso, ma ne invoca l’intercessione, ma vive in comunione d’amore con lui.
Fin tanto che vivevano quaggiù sulla terra, anche i santi non vivevano in una comunione così intima con gli uomini come ora che sono nel cielo. La stessa loro missione praticamente li separava dagli uomini, li rendeva estranei ai fratelli. Quanti avranno avuto la possibilità di accedere, non so, ad un Papa e parlare ad un Papa delle piccole cose! Quanti avranno avuto accesso facile, in modo da stabilire una vera comunione personale di amore, con san Tommaso d’Aquino o con sant’Edoardo Re, per fare degli esempi. E ora che sono morti, ecco ti sono dati, entrano nella tua vita, sono tuoi compagni di viaggio, sono tuoi amici, ti danno quello che ti fa vivere giorno per giorno. La grazia divina la ottieni per la loro intercessione, per la loro preghiera, per un loro ministero di amore.
Il Santorale
Il Santorale, nella Liturgia della Chiesa, ci dice che cosa è mai la vita cristiana: non solo comunione con Dio, ma comunione con tutta quanta l’umanità, di tutti i tempi, di tutte le razze, perché tutti entrano nella tua vita.
Pensa un poco: uno come noi può vivere in un angolino appena appena conosciuto da poche persone. Eppure invece, ci conoscono e noi conosciamo loro; ci conoscono e ci amano – e noi li amiamo – persone che sono vissute nella Persia o nel Giappone o nell’America del Sud, come santa Rosa da Lima, come il Beato Martino de Porres [Martino de Porres, mulatto peruviano, terziario domenicano, 1579-1639; proclamato santo nel 1962], come santa Marianna di Gesù [Mariana de Jesùs Paredes y Flores, terziaria francescana ecuadoregna, 1618-1645; proclamata santa nel 1950]. Possono entrare nella nostra vita come amici e fratelli, e più che amici e fratelli, perché, si diceva già prima, l’unità qui non è stabilita dal legame del sangue, ma dal bene che l’anima e il santo possiede e che è Dio stesso.
In Dio nulla ci separa
Possiamo vivere come fratelli ed essere di diverse razze, di diversa civiltà, lontani nel tempo, estremamente diversi nel temperamento, con una missione, nella Chiesa, estremamente diversa: eppur nulla ci allontana. Quaggiù tutto ci allontana: lo spazio, il tempo; uno che vive oggi è separato da coloro che vivevano ieri: il tempo separa, lo spazio separa. Anche la condizione sociale separa: uno ha una certa cultura, l’altro non ha nessuna cultura, non c’è modo di stabilire veramente un contatto intimo, personale. La ricchezza separa, i doni stessi separano, i doni naturali, come si diceva stamani. Invece la carità di Dio, la Communio Sanctorum, il possesso di Dio, fa intimi gli uni agli altri senza che nessun impedimento, nessun ostacolo, possa impedire l’amore, possa impedire questa comunione di amore. Dio che è al di sopra del tempo, Dio che trascende lo spazio, Dio che supera tutte le divisioni, opera l’unità. L’unità di tutti i tempi nella tua medesima vita, l’unità di tutti gli spazi nella tua stessa esperienza umana. L’unità di tutti i popoli nella tua povera vita, perché tutti i popoli entrano nella tua vita con la loro esperienza, con la loro storia, con la loro vita, e tu vivi la vita di tutti e tutti vivono la tua vita, nella misura in cui tu vivi in Dio, nella misura in cui tu, vivendo di Dio, sei debitore a ciascuno.
Ed ecco che un santo, che vive oggi una povera vita, diviene poi una fiaccola per tutte le nazioni, diviene poi un cuore che pulsa nel cuore di tutti. Una santa Teresa del Bambino Gesù, nella cella accanto alla sua, fin tanto che viveva quaggiù sulla terra, era sconosciuta, dimenticata, lontana. Ma ora ella vive non vicina, ma nel cuore di tutti; non soltanto perché è ricordata, ma perché essa è viva nel comunicare Dio, la propria esperienza religiosa.
La Messa, tutta la storia del mondo
Avete voi questa percezione di vivere una vita così? Una sinfonia così ampia, così ricca, così vasta, in tal modo che tutto quello che è umano abbia una ripercussione nel vostro cuore?
Basterebbe pensare a quello che diciamo nella Messa, dopo la Consacrazione: “e;Supra quae propitio ac sereno vultu respicere digneris…”e;. Ci farebbero andare in estasi queste parole, soltanto se le pensassimo: basterebbe pensarle! Vivere noi l’atto di Abele e in Abele tutta la civilizzazione antica, tutta l’esperienza umana prima della vocazione di Abramo, tutta l’esperienza ebraica fino a Cristo. Tutta la rivivi in quell’atto, tutta si fa presente in quell’atto. Pulsa nel tuo cuore la stessa ansia di tutta un’umanità che ha cercato Dio, a tentoni, nel buio. Pulsa nel tuo atto tutta l’aspirazione del popolo d’Israele nell’attesa del compimento della promessa; vive nel tuo atto tutto l’ardore dei confessori, dei pontefici, dei martiri cristiani. II tuo atto è la vita del mondo, è veramente tutta la storia del mondo.
I santi si donano
E, guardate, una cosa importante: siamo noi i sordi, non loro. Essi si donano, siamo noi che non li accogliamo. Se sant’Edoardo rimane un estraneo ancora nella nostra vita, non è per colpa sua, è per colpa nostra. Come è bello sentire che noi abbiamo parte alla missione stessa di questo santo, perché questo santo ci viene incontro con un nome, un cognome e certe generalità! Entra nella vita, cioè, con la sua esperienza. Non è un qualunque uomo, è sant’Edoardo, si noti bene, cioè un re dell’Inghilterra medievale. lo che ho una missione così misera, vivo la missione di tutti i santi. Che cosa ho da invidiare a Santa Margherita Maria? Nella misura in cui essa è santa ed ama, le sue grazie sono mie grazie, la missione che ha avuto nella Chiesa diviene la mia missione. Non mi è sottratto nulla, dicevo stamani, non mi è sottratta dunque la posizione che essi hanno avuto nella storia. San Tommaso d’Aquino diviene il mio amico in quanto è un dottore della Chiesa. Non è un nome, un’etichetta. Kant [lmmanuel Kant, filosofo tedesco, 1724-1804] è un’etichetta per me, un’etichetta per dire quello che è il pensiero kantiano, non è vero? Ti ha mai interessato il personaggio Kant? Poteva essere una curiosità sapere che aveva la mania di andare sempre a passeggio in quelle date ore del giorno. Poteva essere una curiosità intellettuale, non che tu vivessi una comunione con lui. Ma i santi – può essere anche una curiosità tua conoscere la vita dei santi – i santi veramente entrano nella tua vita con la loro carica umana di amore, di un amore che certo è soprannaturale nel suo principio, ma umano nella sua espressione, perché i santi sono uomini, pur essendo glorificati, pur essendo nella gloria di Dio. Essi ti amano e tu li ami, non sono un’etichetta. Si stabilisce fra te e loro una comunione di amore, una famiglia; l’unità di una vita.
Vivere la vita dei santi
Se tu la pensi un poco, che meravigliosa cosa è mai questa!
Così piccolo tu sei, così povero tu sei, così limitato è il tuo orizzonte, così limitata la tua esperienza. Eppure in questa tua esperienza, in questa tua piccola vita, risuona l’eco di tutte le età, vive e pulsa il cuore di tutte le generazioni, si anima questa tua piccola vita della vita di tutte le anime che hanno conosciuto Dio e l’hanno amato.
Per questo – vedi – non ti è sottratto nulla. Pur vivendo a Viareggio, puoi vivere la vita nel Carmelo di sessanta anni fa, la vita del Carmelo di Lisieux. Puoi vivere sì, certamente, l’ansia intellettuale di Tommaso, puoi vivere sì, certamente, lo spirito missionario di san Francesco Saverio. è quello che viveva – ricordate – santa Teresa del Bambino Gesù. Lo dice nell’ultimo capitolo della Storia di un’anima. Ella, nel suo piccolo Carmelo, viveva questa vita immensa: la vita di tutti i santi, dei dottori, dei martiri, dei confessori, dei pontefici: tutta la vita, in una sinfonia di una grandezza impressionante.
La tua piccola vita non ti toglie nulla; non ti è impedito di vivere altrettanto, in ogni momento, tutto.
L’uomo, centro del tutto…
L’uomo, si diceva già prima, non è parte di un tutto: il tutto è Dio, e se il tutto è Dio, non vi è una circonferenza ma ogni punto è il centro cui tutto converge. Si dice – ricordate? – riguardo agli spazi stellari: la circonferenza non è da nessuna parte e in ogni parte è il punto, il centro. Questo non è vero per gli spazi stellari comunque essi siano, ma è vero per la vita spirituale, se la vita spirituale, la vita soprannaturale è Dio stesso in quanto si comunica al mondo. Allora è vero che ogni anima è centro, centro cui convergono tutte quante le cose, perché centro di una sfera è il punto da cui parte tutta la sfera. Così la terra: centro della terra è quel punto che attira a sé tutta la terra, e se la terra è solida lo è precisamente per questo centro, per questa attrazione onde tutte le cose vengono ricondotte a questo centro. Anche la tua anima, ogni anima, è centro: tutta quanta la creazione converge in te, pesa su di te e tu non sei schiacciato. E come centro anche da te si diparte tutta quanta la creazione; tutto a te converge, tutto da te s’irradia. Di tutto hai bisogno per vivere, a tutta la creazione tu dai la vita, nel possesso di Dio.
…nel possesso di Dio
Questo tu devi vivere, nella Liturgia.
Pensa un poco: se il Papa vive, lo deve a te, se il Papa scrive un’Enciclica, lo deve a te. Tutto è tuo, però tu hai bisogno non soltanto del Papa, ma anche di un bambino. Da ogni parte accogli Dio e a tutte le creature tu lo doni.
Questo è vero non solo per coloro che vivono quaggiù, ma anche per i santi. E com’è bello, per esempio, glorificare Maria! Donare Dio a Maria Santissima, ai santi, nel lodarli, nel glorificarli, nell’esaltarli! Che cosa noi facciamo se non portare Dio nel loro animo, quasi che essi dovessero ricevere Dio da noi, ricevere proprio dalle nostre mani la gloria che è loro dovuta? Siamo noi che incoroniamo Maria: anche per le nostre mani essa è e deve essere incoronata.
Non ci sono mai soltanto quelli che ricevono: nel mondo divino della grazia, noi riceviamo da tutti per donare a tutti e a ciascuno, anche nella nostra povera vita, nella nostra piccola vita comunque essa sia. Questo mi sembra che ci insegni la liturgia della Chiesa.
Autore: Divo Barsotti
Fonte: www.comunitafiglididio.it
La festa di tutti i Santi, il 1 novembre si diffuse nell’Europa latina nei secoli VIII-IX. Si iniziò a celebrare la festa di tutti i santi anche a Roma, fin dal sec. IX.
Un’unica festa per tutti i Santi, ossia per la Chiesa gloriosa, intimamente unita alla Chiesa ancora pellegrinante e sofferente. Oggi è una festa di speranza: “l’assemblea festosa dei nostri fratelli” rappresenta la parte eletta e sicuramente riuscita del popolo di Dio; ci richiama al nostro fine e alla nostra vocazione vera: la santità, cui tutti siamo chiamati non attraverso opere straordinarie, ma con il compimento fedele della grazia del battesimo.
Dai “Discorsi” di san Bernardo, abate
A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E’ chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro. Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri. Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, é quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all’assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell’anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l’aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non é certo disdicevole, perché una tale fame di gloria é tutt’altro che pericolosa. Vi é un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed é quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come é ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assume
Autore: Monaci Benedettini Silvestrini