Viaggio Apostolico a Cipro e in Grecia: Incontro con i Giovani presso la Scuola San Dionigi (Suore Orsoline a Maroussi, Atene, 6 dicembre 2021)

Cari fratelli e sorelle, kaliméra sas! [buongiorno!]

Vi ringrazio per essere venuti qua, tanti di voi da luoghi lontani: efcharistó! [grazie!] Sono contento di incontrarvi al culmine della mia visita in Grecia. E colgo l’occasione per rinnovare la mia gratitudine per l’accoglienza e tutto il lavoro svolto per organizzarla: efcharistó!

Mi hanno colpito le vostre belle testimonianze. Le avevo lette e riprendo ora con voi alcuni passaggi.

Katerina, ci hai parlato dei tuoi ricorrenti dubbi di fede. Vorrei dire a te e a tutti voi: non abbiate paura dei dubbi, perché non sono mancanze di fede. Non abbiate paura dei dubbi. Al contrario, i dubbi sono “vitamine della fede”: aiutano a irrobustirla, a renderla più forte, cioè più consapevole, la fanno crescere, la rendono più libera, più matura. La rendono più disposta a mettersi in cammino, ad andare avanti con umiltà, giorno dopo giorno. E la fede è proprio questo: un cammino quotidiano con Gesù che ci tiene per mano, ci accompagna, ci incoraggia e, quando cadiamo, ci rialza. Non si spaventa mai. È come una storia d’amore, dove si va avanti sempre insieme, giorno per giorno. E come in una storia d’amore arrivano momenti in cui bisogna interrogarsi, farsi domande. E fa bene, fa salire il livello della relazione! E questo è molto importante per voi, perché voi non potete andare sulla strada della fede ciechi, no, ma interloquire con Dio, con la propria coscienza e con gli altri.

Nell’esperienza di Katerina vorrei sottolineare un punto importante. A volte, davanti alle incomprensioni o alle difficoltà della vita, nei momenti di solitudine o di delusione, può bussare alla porta del cuore questo dubbio: “Forse sono io che non vado bene… forse sono sbagliato, sono sbagliata…”. Amici, è una tentazione da respingere! Il diavolo ci mette nel cuore questo dubbio per gettarci nella tristezza. Che cosa fare? Cosa fare quando un dubbio del genere diventa soffocante e non lascia in pace, quando si smarrisce la fiducia e non si sa più da dove cominciare? Bisogna ritrovare il punto di partenza. Qual è? Per capirlo, mettiamoci in ascolto della vostra grande cultura classica. Sapete quale fu il punto di partenza della filosofia, ma anche dell’arte, della cultura, della scienza? Sapete quale? Tutto cominciò da una scintilla, da una scoperta, resa da una parola magnifica: thaumàzein. È il meravigliarsi, lo stupore. Così è partita la filosofia: dalla meraviglia di fronte alle cose che sono, alla nostra esistenza, all’armonia del creato, al mistero della vita.

Ma lo stupore non è solo l’inizio della filosofia, è anche l’inizio della nostra fede. Il Vangelo parecchie volte ci dice che quando qualcuno incontra Gesù si stupisce, sente lo stupore. Nell’incontro con Dio sempre c’è lo stupore: è l’inizio del dialogo con Dio. E questo è così, perché il nostro aver fede non consiste prima di tutto in un insieme di cose da credere e di precetti da adempiere. Il cuore della fede non è un’idea, non è una morale, il cuore della fede è una realtà, una realtà bellissima che non dipende da noi e che lascia a bocca aperta: siamo figli amati di Dio! Questo è il cuore della fede: siamo figli amati di Dio! Figli amati: abbiamo un Padre che veglia su di noi senza smettere mai di amarci. Riflettiamoci: qualsiasi cosa tu pensi o faccia, fossero anche le peggiori, Dio continua ad amarti. Io vorrei che questo lo capiate bene: Dio non si stanca di amare. Qualcuno può dirmi: “Ma se io scivolo nelle cose più brutte, Dio mi ama?” Dio ti ama. “E se io sono un traditore, un peccatore tremendo, e finisco male, nella droga… Dio mi ama?” Dio ti ama. Dio ama sempre. Non può smettere di amare. Ama sempre e comunque. Guarda la tua vita e la vede molto buona (cfr Gen 1,31). Non si pente mai di noi. Se ci mettiamo davanti allo specchio magari non ci vediamo come vorremmo, perché rischiamo di concentrarci su quello che non ci piace. Ma se ci mettiamo davanti a Dio la prospettiva cambia. Non possiamo che stupirci di essere per Lui, nonostante tutte le nostre debolezze e i nostri peccati, figli amati da sempre e per sempre. Allora, anziché cominciare la giornata davanti allo specchio, perché non apri la finestra della camera e ti soffermi sul tutto, su tutto il bello che c’è, su tutto il bello che vedi? Esci da te stesso. Cari giovani, pensate: se ai nostri occhi è bello il creato, agli occhi di Dio ciascuno di voi è infinitamente più bello! Egli, dice la Scrittura, “ha fatto di noi delle meraviglie, delle meraviglie stupende” (cfr Sal 139,14). Noi, per Dio, siamo una meraviglia stupenda. Lasciati invadere da questo stupore. Lasciati amare da chi crede sempre in te, da chi ti ama più di quanto tu riesca ad amarti. Non è facile capire questa larghezza, questa profondità dell’amore, non è facile capirla, ma è così: basta lasciarsi guardare dallo sguardo di Dio.

E quando rimanete delusi per quello che avete fatto, c’è un altro stupore da non lasciarsi sfuggire: lo stupore del perdono. Su questo voglio essere chiaro: Dio perdona sempre. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono, ma Lui perdona sempre. Lì, nel perdono, si ritrovano il volto del Padre e la pace del cuore. Lì Lui ci rimette a nuovo, riversa il suo amore in un abbraccio che ci rialza, che disintegra il male commesso e torna a far splendere la bellezza insopprimibile che è in noi, il nostro essere suoi figli prediletti. Non permettiamo che la pigrizia, il timore o la vergogna ci rubino il tesoro del perdono. Lasciamoci stupire dall’amore di Dio! Riscopriremo noi stessi; non quello che dicono di noi o che le pulsioni del momento suscitano in noi; non quello che gli slogan pubblicitari ci buttano addosso, ma la nostra verità più profonda, quella che vede Dio, quella in cui crede Lui: la bellezza irripetibile che siamo.

Ricordate le famose parole incise sul frontone del tempio di Delfi? γνῶθι σeαυτόν, «conosci te stesso». Oggi c’è il rischio di scordare chi siamo, ossessionati da mille apparenze, da messaggi martellanti che fanno dipendere la vita da come ci vestiamo, dalla macchina che guidiamo, da come gli altri ci guardano… Ma quell’invito antico, conosci te stesso, vale ancora oggi: riconosci che vali per quello che sei, non per quello che hai. Non vali per la marca del vestito o per le scarpe che porti, ma perché sei unico, sei unica. Penso a un’altra immagine antica, quella delle sirene. Come Ulisse nel percorso verso casa, anche voi nella vita, che è un viaggio avventuroso verso la Casa del Padre, troverete delle sirene. Nel mito attiravano i naviganti con il loro canto per farli sfracellare contro gli scogli. Nella realtà le sirene di oggi vogliono ammaliarvi con messaggi seducenti e insistenti, che puntano sui guadagni facili, sui falsi bisogni del consumismo, sul culto del benessere fisico, del divertimento a tutti i costi… Sono tanti fuochi d’artificio, che brillano per un attimo, e poi lasciano solo fumo nell’aria. Io vi capisco, non è facile resistere. Vi ricordate come ci riuscì Ulisse, insidiato dalle sirene? Si fece legare all’albero maestro della nave. Ma un altro personaggio, Orfeo, ci insegna una via migliore: intonò una melodia più bella di quella delle sirene e così le mise a tacere. Ecco perché è importante alimentare lo stupore, la bellezza della fede! Non siamo cristiani perché dobbiamo, ma perché è bello. E proprio per custodire questa bellezza diciamo no a ciò che vuole oscurarla. La gioia del Vangelo, lo stupore di Gesù fa passare le rinunce e le fatiche in secondo piano. Allora, d’accordo? Ricordate bene questo: essere cristiano fondamentalmente non è fare questo, fare quell’altro… fare cose. Si devono fare cose, ma fondamentalmente non è quello. Fondamentalmente essere cristiano è lasciare che Dio ti ami, e riconoscere che sei unico, che sei unica davanti all’amore di Dio.

Passiamo ad un altro capitolo. I volti degli altri. Ioanna, mi è piaciuto che, per parlarci della tua vita, hai parlato degli altri. Anzitutto delle due donne più importanti della tua vita, la mamma e la nonna che ti «hanno insegnato a pregare, a ringraziare Dio ogni giorno». Così hai assimilato la fede in modo naturale, genuino. E ci hai dato un suggerimento che ci fa bene: ricorrere al Signore per qualsiasi cosa, «parlargli, confessargli le preoccupazioni». Così Gesù è diventato per te familiare. Quanto è contento quando ci apriamo a Lui! Così si conosce Dio. Perché per conoscerlo non basta avere idee chiare su di Lui – questa è una parte piccola, non basta – bisogna andare da Lui con la vita. Forse è questo il motivo per cui tanti lo ignorano: perché sentono solo prediche e discorsi. Invece Gesù si trasmette attraverso volti e persone concrete. Provate a prendere in mano gli Atti degli Apostoli e vedrete quante persone, volti, incontri: così i nostri padri nella fede hanno conosciuto Gesù. Dio non ci dà in mano un catechismo, ma si fa presente attraverso le storie delle persone. Passa attraverso di noi. Dio non ci dà in mano un libro per imparare cose a memoria, no. Dio si fa capire con la vicinanza, accompagnandoci nella strada della vita. Conoscere Gesù è il nocciolo proprio della nostra fede.

Proprio a questo proposito, Ioanna, ci hai raccontato di una terza persona per te decisiva, una suora che ti ha mostrato la gioia «di vedere la vita come un servizio». Sottolineo questo: vedere la vita come un servizio. È vero, servire gli altri è la via per conquistare la gioia! Dedicarsi agli altri non è da perdenti, è da vincenti; è la via per fare qualcosa di veramente nuovo nella storia. Ho saputo che in greco “giovane” si dice “nuovo” e nuovo significa giovane. Il servizio è la novità di Gesù; il servizio, il dedicarsi agli altri è la novità che rende la vita sempre giovane. Vuoi fare qualcosa di nuovo nella vita? Vuoi ringiovanire? Non accontentarti di pubblicare qualche post o qualche tweet. Non accontentarti di incontri virtuali, cerca quelli reali, soprattutto con chi ha bisogno di te: non cercare la visibilità, ma gli invisibili. Questo è originale, rivoluzionario. Uscire da sé stesso per incontrare l’altro. Ma se tu vivi prigioniero in te stesso, mai incontrerai l’altro, mai saprai cosa è servire. Servire è il gesto più bello, più grande di una persona: servire gli altri. Tanti oggi sono molto social ma poco sociali: chiusi in sé stessi, prigionieri del cellulare che tengono in mano. Ma sullo schermo manca l’altro, mancano i suoi occhi, il suo respiro, le sue mani. Lo schermo facilmente diventa uno specchio, dove credi di stare di fronte al mondo, ma in realtà sei solo, in un mondo virtuale pieno di apparenze, di foto truccate per sembrare sempre belli e in forma. Che bello invece stare con gli altri, scoprire la novità dell’altro! Interloquire con l’altro, coltivare la mistica dell’insieme, la gioia di condividere, l’ardore di servire!

A questo riguardo, nell’incontro con i giovani in Slovacchia, lo scorso settembre, alcuni ragazzi mostravano uno striscione interessante. Aveva solo due parole: “Fratelli tutti”. Mi è piaciuto: spesso negli stadi, nelle manifestazioni, nelle strade si espongono striscioni per supportare la propria parte, le proprie idee, la propria squadra, i propri diritti. Ma lo striscione di quei giovani diceva una cosa nuova: che è bello sentirsi fratelli e sorelle di tutti, sentire che gli altri sono parte di noi, non gente da cui prendere le distanze. Sono contento di vedervi tutti insieme, uniti pur provenendo da Paesi e storie tanto diverse! Sognate la fraternità!

In greco c’è un detto illuminante: o fílos ine állos eaftós, “l’amico è un altro me”. Sì, l’altro è la via per ritrovare sé stessi. Non lo specchio, l’altro. Certo, costa fatica uscire dalle proprie comfort zone, è più facile stare seduti sul divano davanti alla tv. Ma è roba vecchia, non è da giovani. Ma guarda: un giovane sul divano, che cosa vecchia! Da giovani è reagire: quando ci si sente soli, aprirsi; quando viene la tentazione di chiudersi, cercare gli altri, allenarsi in questa “ginnastica dell’anima. Qui sono nati i più grandi eventi sportivi, le Olimpiadi, la maratona… Oltre all’agonismo che fa bene al corpo c’è quello che fa bene all’anima: allenarsi all’apertura, percorrere lunghe distanze da sé stessi per accorciare quelle con gli altri; lanciare il cuore oltre gli ostacoli; sollevare gli uni i pesi degli altri… Allenarvi in questo vi farà felici, vi manterrà giovani e vi farà sentire l’avventura di vivere!

A proposito di avventura, Aboud, la tua testimonianza ci ha colpito: la fuga, insieme con i tuoi, dalla cara martoriata Siria, dopo aver rischiato più volte di essere uccisi dalla guerra. E poi, dopo tanti no e mille difficoltà, siete approdati in questo Paese nell’unico modo possibile, in barca, rimanendo «su una roccia senza acqua e senza cibo, aspettando l’alba e una nave della guardia costiera». Una vera e propria odissea dei nostri giorni. E mi è venuto in mente che, nell’Odissea di Omero, il primo eroe che appare non è Ulisse, ma un giovane: Telemaco, suo figlio, che vive una grande avventura.

Non aveva conosciuto il padre ed è angosciato, sfiduciato perché non sa dov’è e nemmeno se esiste. Si sente senza radici ed è davanti a un bivio: rimanere lì, in attesa, oppure fare una pazzia e lanciarsi alla ricerca. Ci sono varie voci, tra cui quella della divinità, che lo esorta ad avere coraggio e partire. E lui fa così: si alza, sistema di nascosto la nave e di fretta, al sorgere del sole, va all’avventura. Il senso della vita non è restare sulla spiaggia aspettando che il vento porti novità. La salvezza sta in mare aperto, sta nello slancio, nella ricerca, nell’inseguire i sogni, quelli veri, quelli ad occhi aperti, che comportano fatica, lotta, venti contrari, burrasche improvvise. Per favore, non lasciarsi paralizzare dalle paure, sognare in grande! E sognare insieme! Come per Telemaco, ci sarà chi cercherà di fermarvi. Ci sarà sempre chi vi dirà: “Lascia perdere, non rischiare, è inutile”. Questi sono gli azzeratori di sogni, i sicari della speranza, gli inguaribili nostalgici del passato.

Voi, invece, per favore, nutrite il coraggio della speranza, quello che hai avuto tu, Aboud. Come si fa? Attraverso le vostre scelte. Scegliere è una sfida. È affrontare la paura dell’ignoto, è uscire dalla palude dell’omologazione, è decidere di prendere in mano la vita. Per fare scelte giuste, potete ricordare una cosa: le buone decisioni riguardano sempre gli altri, non solo sé stessi. Ecco le scelte per cui vale la pena rischiare, i sogni da realizzare: quelli che richiedono coraggio e coinvolgono gli altri.

E, nel congedarmi da voi, vi auguro questo: il coraggio di andare avanti, il coraggio di rischiare, il coraggio di non rimanere sulla poltrona. Il coraggio di rischiare, di andare verso gli altri, mai isolati, sempre con gli altri. E con questo coraggio, ognuno di voi troverà sé stesso, troverà l’altro e troverà il senso della vita. Vi auguro questo, con l’aiuto di Dio, che vi ama tutti. Dio vi ama, abbiate coraggio, andate avanti! Brostà, óli masí! [Avanti, tutti insieme!]