Viaggio Apostolico in Iraq: Santa Messa nella Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad (6 marzo 2021)
VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN IRAQ
[5-8 MARZO 2021]
SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad
Sabato, 6 marzo 2021
[Multimedia]
La Parola di Dio ci parla oggi di sapienza, testimonianza e promesse.
La sapienza in queste terre è stata coltivata da tempi antichissimi. La sua ricerca da sempre affascina l’uomo; spesso, però, chi ha più mezzi può acquisire più conoscenze e avere più opportunità, mentre chi ha meno viene messo da parte. È una disuguaglianza inaccettabile, che oggi si è dilatata. Ma il Libro della Sapienza ci sorprende, ribaltando la prospettiva. Dice che «gli ultimi meritano misericordia, ma i potenti saranno vagliati con rigore» (Sap 6,6). Per il mondo, chi ha di meno è scartato e chi ha di più è privilegiato. Per Dio no: chi ha più potere è sottoposto a un esame rigoroso, mentre gli ultimi sono i privilegiati di Dio.
Gesù, la Sapienza in persona, completa questo ribaltamento nel Vangelo: non in un momento qualunque, ma all’inizio del primo discorso, con le Beatitudini. Il capovolgimento è totale: i poveri, quelli che piangono, i perseguitati sono detti beati. Com’è possibile? Beati, per il mondo, sono i ricchi, i potenti, i famosi! Vale chi ha, chi può, chi conta! Per Dio no: non è più grande chi ha, ma chi è povero in spirito; non chi può tutto sugli altri, ma chi è mite con tutti; non chi è acclamato dalle folle, ma chi è misericordioso col fratello. A questo punto può venire un dubbio: se vivo come Gesù chiede, che cosa ci guadagno? Non rischio di farmi mettere i piedi in testa dagli altri? La proposta di Gesù conviene? O è perdente? Non è perdente, ma sapiente.
La proposta di Gesù è sapiente perché l’amore, che è il cuore delle Beatitudini, anche se pare debole agli occhi del mondo, in realtà vince. Sulla croce si è dimostrato più forte del peccato, nel sepolcro ha sconfitto la morte. È lo stesso amore che ha reso i martiri vittoriosi nella prova, e quanti ce ne sono stati nell’ultimo secolo, più che nei precedenti! L’amore è la nostra forza, la forza di tanti fratelli e sorelle che anche qui hanno subito pregiudizi e offese, maltrattamenti e persecuzioni per il nome di Gesù. Ma mentre la potenza, la gloria e la vanità del mondo passano, l’amore rimane: come ci ha detto l’Apostolo Paolo, «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). Vivere le Beatitudini, allora, è rendere eterno quello che passa. È portare il Cielo in terra.
Ma come si praticano le Beatitudini? Esse non chiedono di fare cose straordinarie, di compiere imprese che vanno oltre le nostre capacità. Chiedono la testimonianza quotidiana. Beato è chi vive con mitezza, chi pratica la misericordia lì dove si trova, chi mantiene il cuore puro lì dove vive. Per diventare beati non bisogna essere eroi ogni tanto, ma testimoni ogni giorno. La testimonianza è la via per incarnare la sapienza di Gesù. È così che si cambia il mondo: non con il potere o con la forza, ma con le Beatitudini. Perché così ha fatto Gesù, vivendo fino alla fine quel che aveva detto all’inizio. Tutto sta nel testimoniare l’amore di Gesù, quella stessa carità che San Paolo descrive splendidamente nella seconda Lettura di oggi. Vediamo come la presenta.
Per prima cosa dice che «la carità è magnanima» (v. 4). Non ci aspettavamo questo aggettivo. Amore sembra sinonimo di bontà, generosità, opere di bene, eppure Paolo dice che la carità è anzitutto magnanima. È una parola che, nella Bibbia, racconta la pazienza di Dio. Lungo la storia l’uomo ha continuato a tradire l’alleanza con Lui, a cadere nei soliti peccati e il Signore, anziché stancarsi e andarsene, ogni volta è rimasto fedele, ha perdonato, ha ricominciato. La pazienza di ricominciare ogni volta è la prima qualità dell’amore, perché l’amore non si sdegna, ma riparte sempre. Non si intristisce, ma rilancia; non si scoraggia, ma resta creativo. Di fronte al male non si arrende, non si rassegna. Chi ama non si chiude in sé stesso quando le cose vanno male, ma risponde al male con il bene, ricordando la sapienza vittoriosa della croce. Il testimone di Dio fa così: non è passivo, fatalista, non vive in balìa delle circostanze, dell’istinto e dell’istante, ma è sempre speranzoso, perché fondato nell’amore che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (v. 7).
Possiamo chiederci: e io, come reagisco alle situazioni che non vanno? Di fronte alle avversità ci sono sempre due tentazioni. La prima è la fuga: scappare, voltare le spalle, non volerne più sapere. La seconda è reagire da arrabbiati, con la forza. È quello che accadde ai discepoli nel Getsemani: davanti allo sconcerto, molti si diedero alla fuga e Pietro prese la spada. Ma né la fuga né la spada risolsero qualcosa. Gesù, invece, cambiò la storia. Come? Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi; così Dio realizza le sue promesse.
Promesse. La sapienza di Gesù, che si incarna nelle Beatitudini, chiede la testimonianza e offre la ricompensa, contenuta nelle promesse divine. Vediamo infatti che a ogni Beatitudine segue una promessa: chi le vive avrà il regno dei cieli, sarà consolato, saziato, vedrà Dio… (cfr Mt 5,3-12). Le promesse di Dio assicurano una gioia senza eguali e non deludono. Ma come si compiono? Attraverso le nostre debolezze. Dio fa beati coloro che percorrono fino in fondo la via della loro povertà interiore. La strada è questa, non ce n’è un’altra. Guardiamo al patriarca Abramo. Dio gli promette una grande discendenza, ma lui e Sara sono anziani e senza figli. Proprio nella loro anzianità paziente e fiduciosa Dio opera meraviglie e dona loro un figlio. Guardiamo a Mosè: Dio gli promette che libererà il popolo dalla schiavitù e per questo gli chiede di parlare al faraone. Mosè fa presente di essere impacciato nel parlare; eppure Dio realizzerà la promessa attraverso le sue parole. Guardiamo alla Madonna, che proprio quando per la Legge non può avere figli viene chiamata a diventare madre. E guardiamo a Pietro: rinnega il Signore e Gesù chiama proprio lui a confermare i fratelli. Cari fratelli e sorelle, a volte possiamo sentirci incapaci, inutili. Non crediamoci, perché Dio vuole compiere prodigi proprio attraverso le nostre debolezze.
Egli ama fare così e stasera, per ben otto volte, ci ha detto ţūb’ā [beati], per farci comprendere che con Lui lo siamo davvero. Certo, siamo provati, cadiamo spesso, ma non dobbiamo dimenticare che, con Gesù, siamo beati. Quanto il mondo ci toglie non è nulla in confronto all’amore tenero e paziente con cui il Signore compie le sue promesse. Cara sorella, caro fratello, forse guardi le tue mani e ti sembrano vuote, forse nel tuo cuore serpeggia la sfiducia e non ti senti ripagato dalla vita. Se è così, non temere: le Beatitudini sono per te, per te che sei afflitto, affamato e assetato di giustizia, perseguitato. Il Signore ti promette che il tuo nome è scritto nel suo cuore, nei Cieli! E io oggi Lo ringrazio con voi e per voi, perché qui, dove nell’antichità è sorta la sapienza, in questi tempi si sono levati tanti testimoni, spesso trascurati dalle cronache, ma preziosi agli occhi di Dio; testimoni che, vivendo le Beatitudini, aiutano Dio a realizzare le sue promesse di pace.